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Prologo:


«Perdonami, Padre, perché ho peccato».


Le ginocchia mi dolevano per il legno freddo del confessionale. Guardai attraverso la grata e vidi la figura indistinta del parroco.


«Dimmi figliolo, quali sono i tuoi peccati?».


«Ho ceduto Padre, sono andato a cercarla», sussurrai quelle parole e giocherellai con gli anelli che portavo alle dita.


Non ero mai stato un tipo religioso, se non quando ero più giovane e i miei genitori mi obbligavano ad andare a messa. Quando fui abbastanza grande da decidere smisi di andarci, ma dopo quello che avevo fatto… dovevo credere che esistesse una redenzione, che ci fosse un modo per meritarmi il perdono.


«E l’hai trovata, figliolo?».


Il ricordo di quel giorno era ancora impresso nella mia mente, come sul mio volto, che portava tutt’ora i segni delle ripercussioni dei miei gesti.


«Si», la mia voce era un mormorio strozzato, «L’ho trovata e le ho chiesto perdono».


«Lei ti ha donato la sua misericordia?».


«È stata molto misericordiosa» ammisi ricordando il suo abbraccio e le sue parole di perdono.


«Allora cos’è che ti logora, figliolo. Il perdono è la virtù dei forti, e lei deve essere una ragazza determinata».


«La è, è la donna più forte, dolce, premurosa e bella che conosca», sentii un nodo stringere lo stomaco.


Se mi fossi reso conto di tutto ciò prima, se non avessi preso la strada sbagliata… adesso, forse, farebbe ancora parte della mia vita.


«Non sono convinto di meritare il suo perdono, Padre».


«”Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe”. Tu ti sei pentito ed hai chiesto perdono per i tuoi peccati, se Dio è in grado di perdonare, è in grado di farlo anche l’uomo. Ma figliolo, se non sei il primo a perdonare te stesso, nessuna misericordia potrà aiutarti nel cammino verso la redenzione».


Rimasi in silenzio, ragionando sulle sue parole.


«Hai altri peccati da confessarmi?».


«L’ho desiderata anche se so che adesso appartiene a un altro uomo».


Mi sfilai il grosso anello in acciaio che portavo al pollice per poi rimetterlo.


Erano passati cinque anni dall’ultima volta che l’avevo vista. Per tutto quel tempo ero riuscito a non cedere, ero riuscito a non cercarla. Sapevo che probabilmente era felice con un altro uomo, un uomo che se la meritava e che la rispettava. Ma nulla, nemmeno la certezza che chiunque sarebbe stato un uomo migliore di me per lei, mi aveva impedito di desiderare che mi desse una seconda possibilità.


«Il nono comandamento ci ordina di non desiderare la donna d’altri. Si può rubare una donna anche solo col desiderarla, ed è peccato. Il Signore comanda di “non desiderare” perché conosce le nostre fragilità. Dal desiderio siamo in grado di passare alla seduzione, dalla seduzione all’accordo, e dall’accordo all’atto. Ma tu non hai fatto nulla di tutto ciò figliolo, sei stato prudente ed hai ammesso il tuo peccato. Fai dieci Ave Maria, dieci Padre Nostro e un Atto di dolore».


«Grazie, Padre».


«Vai in pace, figliolo».


Mi alzai sentendo le ginocchia scricchiolare e poi aprii la porticina per uscire dal confessionale.


La piccola chiesa nella periferia di Brooklyn aveva meravigliose vetrate che riflettevano la luce del sole sul lucido pavimento in marmo creando giochi di luce e colori. La prima volta che avevo messo piede in quella piccola cappella ero rimasto a bocca aperta, affascinato, dalla bellezza eterea che donavano a quel posto sacro.


Mi avvicinai alle panche, presi posto in fondo, lontano da un paio di suore che pregavano quel Dio che solo da poco ero andato a cercare. Mi misi in ginocchio e giunsi le mani di fronte a me. Chinai la testa sulle mie nocche e chiusi gli occhi iniziando a pregare.


«Padre, perdonami perché ho peccato», quella voce, quel tono di supplica catturò la mia attenzione e alzai lo sguardo.


Poco lontano da me, una ragazza, con lunghi capelli scuri e occhi blu colmi di lacrime, si era messa nella mia stessa posizione e aveva iniziato a pregare come se fosse stata la sua unica speranza. Non capivo bene le sue parole, la sua voce era strozzata da singhiozzi, ma non mi sfuggì la pena nel suo tono.


Sentii un peso opprimermi il petto, provai il bisogno di alleviare le pene di quella donna anche se non sapevo quali fossero.


Cercai di tornare a concentrarmi sulle mie preghiere e di smettere di fissarla.


Quando ebbi finito mi alzai. La panca stridette producendo un suono stridulo che mi fece rizzare i peli sulle braccia. La ragazza alzò lo sguardo, puntò le sue iridi blu su di me, ma non ero così sicuro che mi stesse guardando. Il suo sguardo era vuoto, era un pozzo di dolore.


Automaticamente portai la mia mano al petto, con le dita giocherellai con il rosario che era appartenuto a mia nonna. Non so bene perché lo feci, ma lo sfilai, lo strinsi nel pugno, poi mi avvicinai alla ragazza e lo posai sulla panca vicino a lei, prima di andarmene.
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