#BrokenComeFenici #VLove #Wattpad

Capitolo 26




Per cosa essere grati?


“All I can do is thank You


For this life I never deserved


Wanna thank You for the grace


I know I don’t have to earn


You love me, You love me


Your mercy is proof


All I can do is say thank You


All I can do is say thank You”


~ Mikeschair – All I Can Do (thank you)


Teresa


«Buon giorno del Ringraziamento», un piccolo sorriso affiorò sulle mie labbra mentre mio padre mi stringeva in un forte abbraccio.


«Auguri, bambina».


Le festività non erano mai state il nostro forte, perlomeno, non dopo la morte della mamma. Ho pochi ricordi di lei, si sono sfuocati nel corso degli anni, ma le sensazioni, i profumi, rimangono nel tempo. Con l’arrivo di Gwendoline papà aveva ripreso in se quella voglia di festeggiare, io, invece, quando avevo passato il mio primo Natale con Marco.


Il pensiero che quello sarebbe stato il primo Ringraziamento trascorso senza di lui mi provocò una fitta di dolore al petto.


«Auguri, sorellina».


Le labbra tornarono a incurvarsi all’insù, quando mi staccai da mio padre per posare lo sguardo sull’uomo alle sue spalle, con i suoi capelli rossicci e gli occhi tanto uguali a quelli delle madre, ricambiò il mio sorriso. «Ciao, Max».


Io e Max non avevamo passato molto tempo insieme, il più delle volte lui era chiuso in un qualche centro di recupero, oppure aveva in corso una lite con Gwendoline. Anche quando ero più piccola ricordo vagamente che fosse rimasto con noi per più di un paio di settimane ma, in quel lasso di tempo che passavamo insieme, era sempre stato una presenza gradevole e qualche volta si era riscoperto un amico.


Il corridoio sembrava diventare sempre più stretto, quando al gruppo si aggiunse la moglie di mio padre. Gwen venne verso di me, con uno strofinaccio in mano e il grembiule stretto in vita – riusciva ad apparire perfetta anche così – e mi strinse in un forte abbraccio. Non ricordavo l’ultima volta in cui mi era stata riservata un’accoglienza così calorosa.


Ricambiai la stretta un po’ impacciata, fino a che qualcuno alle mie spalle non si schiarì la voce e l’attenzione dei presenti venne catturata da qualcosa di più interessante.


«Salve, buona festa del Ringraziamento». Travor, con in mano una bottiglia di un qualche costoso vino italiano, si fece strada oltre la soglia.


Quando incrociai il suo sguardo sentii una strana sensazione allo stomaco, poi, leggendo nei suoi occhi l’imbarazzo, gli sorrisi.


Ebbene si, alla fine avevo tirato fuori le palle e glielo avevo chiesto. Non era stato male come mi ero immaginata. Ero appena rientrata a casa dall’appuntamento con Nan, lui era sul divano che accarezzava Cookie mentre guardava un vecchio film in TV e io avevo provato un’inspiegabile voglia di baciarlo. Così lo feci. Mi chiusi la porta alle spalle, lui alzò lo sguardo su di me, poi senza nemmeno togliermi la giacca mi avventai su di lui e lo baciai.


Ricordando le sue labbra morbide e il suo sapore di menta mi passai la lingua sulle labbra.


Dopo quel bacio, la mia richiesta mi uscì di bocca senza nemmeno accorgermene l’istante dopo che le nostre bocche si staccarono. Lui mi aveva guardata intensamente negli occhi per poi mormorare un “Ne sarei felice”.


E così adesso ecci lì, nel bel mezzo del corridoi della casa in cui ero cresciuta, con l’imbarazzo che aumentava, fino a che Gwendoline non andò incontro a Trav per abbracciare anche lui.


Che scena strana, pensai dentro di me.


Quando Travor stinse la mano di mio padre la tensione che si manifestava nella sua rigidità mi provocò un moto di tenerezza.


«È un piacere poterti conoscere, finalmente», mi lanciò un’occhiata papà.


«Anche per me, signore».


Mi morsi un labbro per non scoppiare a ridere. Lo so, ero una persona orribile, ma vedere Travor così in difficoltà me lo fece apparire sotto una nuova luce, una più giovane e impacciata, cosa che lui non era mai.


«Chiamami pure Bob», replicò papà dandogli una pacca sulla spalla.


Una volta che anche Max salutò il mio ospite, Gwendoline ci propose di andare al piano di sopra per toglierci i giacconi e poi ci informò che il pranzo sarebbe stato pronto tra una decina di minuti.


Mentre salivamo le scale potevo sentire addosso gli occhi dei presenti, credo che nemmeno loro si aspettassero che avrei trovato il coraggio di portare Travor con me.




«È tutto okay?» chiesi, Trav si guardava intorno nella mia camera, era piuttosto silenzioso.


Posò sulla mensola la cornice che teneva in mano. Riconobbi essere la foto del diploma, indossavo ancora la toga, il tocco e al mio fianco c’era Marco, vestito allo stesso modo, che mi cingeva la vita stringendomi al suo fianco. Ricordo bene quella giornata, e soprattutto quello che successe dopo; io e lui, chiusi in quella stessa camera… 


Sentii una fitta allo stomaco per quei ricordi, ma allo stesso tempo un piccolo sorriso mi incurvò le labbra.


«Dovresti farlo più spesso» mormorò, non ero nemmeno sicura di averlo sentito bene.


«Che cosa?».


Si voltò per incrociare il mio sguardo, nel suo lessi un pizzico di tristezza.


«Sorridere. Dovresti sorridere sempre, sei così bella».


Il mio cuore fece un balzo in gola alle sue parole, i battiti acceleravano a ogni passo che faceva verso di me e poi, quell’organo birichino, si fermò, per un solo istante, quando posò la sua mano fredda sulla mia guancia. Mi accarezzò le labbra con il pollice, seguendo con lo sguardo il suo gesto, poi tornò a guardarmi.


«Ti faceva sempre sorridere», la sua non sembrò una domanda.


Lo sguardo gli vagò involontariamente su un’altra cornice, che doveva aver visto mentre mi levavo la giacca. In quella foto io e Marco eravamo al mare, appena usciti dall’acqua, avevamo intorno ai vent’anni ed io ero appesa alle sue spalle, anche lì ridevo.


«No», si girò di scatto alla mia risposta, «Non mi faceva sempre sorridere, certo, mi rendeva felice, ma anche lui era in grado di farmi arrabbiare e litigavamo», ammisi.


Forse era la prima volta che ammettevo che non sempre tutto era perfetto con Marco. Lo avevo messo su un piedistallo dopo la sua morte, come se fosse sbagliato anche solo ricordare i brutti momenti passati insieme.


«Una volta ci siamo pure lasciati», sussurrai mentre mi sedevo sul bordo del letto. 


Pochi istanti dopo Trav prese posto al mio fianco.


«All’inizio dell’ultimo anno, solo per un paio di mesi, ma ci siamo lasciati. Studiare per gli esami, le domande per il College, era tutto un po’ stressante. Il nostro piano era sempre stato quello di trovare un’Università in grado di soddisfare le volontà di entrambi, ma quando venne il momento di compilare i moduli, quando avevamo deciso che avremmo frequentato la Kean University, scoprii che lui aveva fatto domanda anche per un’altra Università, in un altro Stato».


La sua gamba che premette contro la mia mi distrasse per un momento dal mio monologo.


«Aveva paura», ripresi, «Stavamo insieme da una vita, e sembrava tutto già programmato per il nostro futuro. Così abbiamo deciso di prenderci una pausa. Non è durata molto però», ridacchiai, «Una sera venne a casa mia e mi rivelò di aver baciato un’altra ragazza, ho sofferto così tanto, ma quella stessa sera siamo tornati insieme. Lui aveva capito che non esisteva nessun’altra donna al mondo che avrebbe potuto amare».


Rimanemmo per un po’ in silenzio, mentre mi rendevo conto che avevo voluto cancellare quel momento dai miei ricordi, come avevo fatto con altri. 


«Anche tu ti sei resa conto che lui era l’unico uomo al mondo che avresti potuto amare?», sussurrò quella domanda.


«Per molto tempo l’ho pensato».


Sollevò gli occhi intrecciandoli ai miei.


«Cosa significa?».


Avevo il cuore che batteva a mille nella cassa toracica mentre mi perdevo nel verde bosco delle sue iridi.


«Che forse potrei…» un leggero bussare lasciò in sospeso la mia frase.


«Se state facendo qualcosa di sconveniente sbrigatevi che è pronto il pranzo» ridacchiò una voce dall’altra parte della porta socchiusa. 


Mi alzai dal letto, come se il materasso mi avesse scottato le chiappe.


«Non pensi che avrei chiuso la porta?», spalancai la porta della camera e sorrisi a Max.


Lui ricambiò il mio sorriso, non al corrente di cosa significasse il mio. Gli ero grata, gli ero grata perché aveva interro una frase che non ero sicura di poter pronunciare, non per il momento, non ero pronta ad ammettere quelle parole con me stessa e tanto meno con Travor.
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