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Capitolo 28


Bellissima bugia


“It’s a beautiful lie


It’s a perfect denial


Such a beautiful lie to believe it


So beautiful, beautiful lie makes me”*


~ Thirty Seconds to Mars (Beautiful Lie)


*È una bellissima bugia / è una negazione perfetta / una bugia così bella in cui credere / così bella, mi rende bello




Travor




Ero a casa. Mi sembrava così strano…


Era passato un anno dall’ultima volta che ero stato a Fayette, eppure, mentre guidavo nelle stradine di campagna per raggiungere il ranch della mia famiglia, era come se non me ne fossi mai andato. Mi faceva sentire così, quel posto immerso nel nulla, in confronto alla caotica New York, mi faceva tornare alla mia infanzia, come se tutti i problemi di una vita da adulti non esistessero, tutti gli errori, gli sbagli. Ma purtroppo certe scelte non si possono cancellare, non si può far finta di niente e io mi sentivo sbagliato a stare in quel luogo in cui tutto appariva così immacolato.


Girai a sinistra, uscendo dalla strada principale. In lontananza si iniziava già a vedere il fienile, che mia madre aveva deciso di dipingere interamente di rosso.


«Siamo arrivati?» domandò Tess con un filo di voce, quando davanti a noi le strutture si facevano sempre più grandi.


«Ci siamo», la mia voce era carica dello stesso nervosismo della sua.


Sapevo che non aver detto ai miei genitori che avrei portato a casa una ragazza per Natale era stato un gesto poco corretto, ma conoscevo molto bene mia madre. Mi avrebbe riempito di domande, fino a che non mi avesse estorto qualche informazione. E io odiavo le domande, specialmente quando non ero sicuro di che risposte dover dare.


Avevo deciso di portare Tess a casa con me perché avevo un obbiettivo ben preciso: le avrei raccontato tutto e poi sarei stato a vedere… Ero così concentrato su questo, che non avevo pensato sul serio a quello che stavo facendo: stavo portando una ragazza a conoscere i miei genitori e non era mai successo, nemmeno con Claire, con la quale ero stato per ben due anni. 


«”Arlene Ranch”?» domandò mentre passavamo sotto una grossa insegna in legno scuro.


«Era il nome di mia nonna, quando i miei nonni si sono sposati e hanno comprato questo pezzo di terra, mio nonno ha deciso di dargli il nome della cosa a lui più cara», un sorriso mi incurvò le labbra, adoravo i miei nonni e, malgrado fossero morti già da un po’ di anni, il loro ricordo era sempre dolce-amaro.


«Che cosa romantica».


La osservai, un dolce sorriso le illuminava il viso, non c’era niente di più bello che vederla sorridere.


«Potremmo dare il tuo nome al nostro appartamento: “Teresa House” ».


«Il nostro appartamento?» mi prese in giro.


«Viviamo insieme da tipo… 3 mesi? Ciò che è mio è tuo, ormai» ridacchiai nel tentativo di farla sembrare una battuta, quando in realtà lo pensavo veramente.


Teresa era entrata nella mia casa, poi nella mia testa e infine si era fatta spazio anche nel mio cuore. Non riuscivo a immaginare una vita senza di lei o per lo meno non riuscivo a immaginare una vita che valesse la pena di essere vissuta se lei non era al mio fianco.


«Arrivati», il mio ero solo un sussurro.


Spensi il motore, di fronte a noi si stagliava una deliziosa casetta su un piano, con travi in legno dipinte di un giallo acceso e diverse varietà di piante in vasi colorati, appese alla staccionata del portico.


Sentii Tess prendere un lungo respiro prima di slacciarsi la cintura di sicurezza, poi mi seguì fuori dall’abitacolo dell’auto.
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