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Capitolo 29 




Verità celate


“Quello che più nascondi


è ciò che più rivela di te.”


~ Alberto Espinosa


Teresa


«Tess?», una carezza mi sfiorò la guancia, «Teresa», soffiò una voce vicino alle mie labbra.


«Mmm», mi lamentai, serrando gli occhi e tentando invano di voltarmi dall’altro lato, ma due braccia forti mi tenevano ferma, bloccata sul materasso, così fui costretta ad aprirli.




«Che c’è?» sbuffai, incontrando due iridi verde bosco, nell’oscurità della stanza.


«Voglio farti vedere una cosa».


«L’ho già vista nel granaio e ancora poche ore fa, quando ci siamo messi a letto».


Avevo richiuso gli occhi, così lo sentii ridere contro il mio collo.


«Non è quella cosa che voglio farti vedere».


Mi afferrò per le braccia e in pochi secondi, a peso morto, mi sollevò dal letto e mi ritrovai seduta su di esso.


«Vai giù a farti un caffè», mi lanciò un’occhiata, mentre io ero ancora mezza addormentata, «o anche due», sorrise, «mentre io vado a cercarti qualcosa di adatto».


«Qualcosa di adatto?» sbadigliai.


«Su, vai, o sarà tardi».




«Tardi per cosaaa?» mi lamentai, mentre mi obbligava ad alzarmi.


Mi ignorò e mi spinse fuori dalla stanza, mi seguì, ma, invece che proseguire verso la cucina con me, prese la direzione opposta, verso le altre camera della casa.


Solo ieri sera avevo scoperto quanto in realtà, quella casetta su un piano, fosse realmente grande. C’erano un totale di quattro camere, esclusa quella padronale, che un tempo era stata dei nonni di Travor, mentre adesso, dopo la loro morte, ospitava i suoi genitori. Un piccolo studio, dove la mamma di Trav teneva tutti i conti e le diverse scartoffie del ranch; un grande salone, dove il giorno prima avevamo addobbato un immenso albero di Natale tutti insieme: erano anni che non ne facevo uno, anche con Marco non avevamo mai avuto il tempo o la voglia di metterci a decorare la casa, e mi ero dimenticata di quanto fosse bello e rilassante, l’odore di pino, le lucine colorate e lo zabaione, l’elettricità che saturava l’aria mentre sistemavamo i regali sotto l’albero e quel calore che si prova per lo spirito natalizio e per la famiglia. Poi c’era una grande cucina in stile rustico – come il resto della casa –, uno scantinato adoperato a lavanderia e tre bagni – uno nella camera padronale, uno nella stanza di Travor e un altro vicino alla cucina.


La casa era immersa nel buio. 


Dannazione, che ore sono? Pensai mentre mi facevo strada sul freddo pavimento in legno, che ogni tanto scricchiolava, con indosso ancora il pigiama – una larga maglietta verde a maniche lunghe e dei pantaloncini in spugna rosa – e dei calzettoni beige di lana fino al ginocchio.


Quando raggiunsi la soglia della cucina mi bloccai. La luce era accesa e la signora Sookie, in una vestaglia azzurra, era intenta a preparare del caffè. Mi dava le spalle, così pensai di tornare indietro per vestirmi, ma poi ricordai di come fosse facile sentirmi a mio agio in sua presenza, come se la conoscessi da anni invece che da solo un giorno, così mi schiarii la voce, per non rischiare di spaventarla, e feci il mio ingresso nella stanza.


«Teresa» mi sorrise calorosamente, «Come mai già in piedi? Non ti avrò mica svegliata?».


Scossi la testa ricambiando il sorriso. «No, ci ha pensato suo figlio».


«Ti ho già detto ieri di darmi del tu», mostrò un viso severo, che un secondo dopo si trasformò nuovamente in uno sorridente, «Giusto, ieri mi ha detto che voleva…», si interruppe, «Ti ha già detto cosa vuole fare?».


Presi la tazza di caffè che mi stava offrendo e scossi la testa portandomela alle labbra.


«Allora, non ti dico nulla».


Prese dei biscotti dalla credenza, poi ci sedemmo al tavolo in legno di noce vicino alla finestra.


«Dormito bene?».


«Dormito poco» ridacchiai, mi veniva spontaneo essere sincera con lei, come se ogni mio filtro venisse annullato.


«Ho sentito».


Le miei guance si tinsero di fucsia, nell’istante in cui le sue parole si fecero strada tra la nebbia del sonno. Avevo affermato che non avevo dormito molto perché fuori non era ancora sorto il sole, non perché… Oddio!


Iniziò a ridere, in un solo giorno avevo scoperto che nemmeno lei aveva filtri, forse era per questo che riuscivo a essere completamente aperta con lei.


«Mi dispiace» mi coprii il volto con le mani, mortificata.


«Non scusarti», potevo sentire il sorriso che le incurvava la bocca senza nemmeno guardarla, «Le pareti sono vecchie e robuste, è che ero passata di lì per prendere un bicchiere d’acqua, la porta era socchiusa, l’ho chiusa io per voi», e rise di nuovo.


In un certo senso, iniziai a pensare che la divertisse mettere in imbarazzo le persone, però l’adoravo di già lo stesso.


Persa nel mio imbarazzo mi nascosi dietro la tazza di caffè. Gustai quel nettare, caldo e aromatico, ma ormai ero già sveglia, ci aveva pensato Sookie!


Per cercare di rilassarmi iniziai a sgranare il rosario, facendo passare fra le dita, a uno a uno, i grani in madreperla della corona.


Lo sguardo della mamma di Trav, dai miei occhi, si spostò sul mio gesto. Osservò il rosario a lungo, prima di riprendere a parlare: «Posso?».


Annuii sfilandomi la mia àncora dal collo. «Certo».


Se lo rigirò tra le mani, come un oggetto prezioso, poi assottigliò gli occhi per leggere qualcosa dietro la croce: «Omnia vincit amor, l’amore vince tutto», un’espressione di calore le illuminò il viso mentre me lo ripassava.
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