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Capitolo 31




Fottuto dal destino






“Il destino ti aspetta sulla strada


che hai scelto per evitarlo”


~ Proverbio Arabo






Travor


Delle volte il destino non può fare a meno di metterci lo zampino. Eravamo tornati a casa da cinque giorni, ma non ero ancora riuscito a parlare con Tess come mi ero ripromesso. Max, non so come, era riuscivo a recuperare il mio numero di telefono e non faceva altro che mettermi pressione per dirglielo; “Fallo tu o lo faccio io” era quasi sempre questo il contenuto dei suoi messaggi. Ma non ero ancora riuscito a trovare il momento giusto, e se in parte poteva essere colpa mia, in parte era anche colpa del fato bastardo.


«Come sta?».


«La nipote ha deciso di metterla in una casa di riposo», Tess fece una smorfia contrariata, mentre gettava un vestito sulla pila di abiti che aveva disseminato sul mio letto.


«E Cookie?», lanciò un’occhiata verso la palla di pelo grigia, che indisturbata dormiva su un piccolo spazio nel materasso.


«Ha ribadito che vuole che lo tenga io, nella struttura dove andrà non sono ammessi animali e, parole sue, “non lascerò il mio dolce amore a quella vipera di mia nipote”».


Le labbra le si piegarono in un mezzo sorriso. «Sono felice che malgrado tutto stia bene».


Annuii pensieroso. Era per Betty, che non avevo ancora parlato a Tess. Quando eravamo tornati a New York, davanti alla porta di casa, avevamo trovato Cookie che non la smetteva di miagolare. Avevo aperto la porta, immaginando che volesse entrare, ma invece lui si era diretto verso le scale, continuando a miagolare, fino a che non lo avevo seguito al piano sottostante. Lì avevo trovato la porta di casa della signora Betty socchiusa e al suo interno c’era il suo corpo riverso a terra. Mi era venuto un colpo quando l’avevo vista lì, inerme, non sicuro se stesse o meno bene. Avevo subito chiamato l’ambulanza ed ero andato in ospedale fingendomi il nipote. Aveva sbattuto la testa, ma per fortuna nessun trauma grave, solo il femore rotto e un braccio lussato. Da quel primo giorno ero andato sempre a trovarla, malgrado il nostro rapporto non fosse mai stato pieno d’amore, mi era grata e mi aveva pregato di tenere il suo gatto con me, sapeva già che veniva in casa mia ogni tanto e le sembrava la soluzione migliore per quella palla di pelo. Così non avevo ancora detto nulla a Tess, il tempismo trovavo non fosse dei migliori. E se da una parte me la prendevo con il destino, per non avermi ancora dato l’occasione di parlarle, dall’altra… mi sentivo in parte sollevato, come se avessi un’ottima ragione per non averle ancora detto tutto, ma poi c’era Max, che continuava a ricordarmi che dovevo farlo…


«Non so cosa mettermi», quelle parole disperate furono seguite da una sorta di ringhio e poi da Teresa che, a peso morto, si lasciò cadere sulla pila di vestiti.


«Qualsiasi cosa indosserai sarai bellissima».


L’occhiata che mi lanciò mi fece scoppiare a ridere.


«Come hai fatto a dimenticarti della festa aziendale di Capodanno?» mi rimproverò alzandosi e tornando a esaminare gli striminziti abitini che aveva recuperato dal suo appartamento.


Feci spallucce. Non è che quando fossi a casa mi piacesse pensare a Giselle e alle sue stupide idee per “rafforzare il team”. Era stato Jex a ricordarmi della festa e appena lo avevo saputo lo avevo detto a Tess, ma non sembrava che lo avessi fatto per tempo, due giorni non le bastavano per scegliere un vestito…


«Non avevo intenzione di fare nulla per Capodanno, non ricordo l’ultima volta che l’ho festeggiato» ammisi. Se non fosse stato per Tess, come ogni anno, me ne sarei stato in casa, a guardare la discesa della ball drop di Times Square in TV, comodamente sdraiato sul mio divano.


Con uno sguardo più dolce venne verso di me, mi passò una mano dietro il collo e mi lasciò un piccolo bacio sulle labbra. Subito dopo, però, non le permisi di allontanarsi come avrebbe voluto. L’afferrai per un fianco, tenendola stretta a me, con l’altra mano intrecciai le dita ai suoi capelli e le vietai di scostarsi. Approfondii il bacio, leccandole le labbra prima di accarezzarle la lingua con la mia. La sentii sospirare nella mia bocca, quando affondai le dita nei suoi glutei spingendola contro il mio basso ventre.


«Possiamo sempre rimanere a casa, così non dovrai indossare nessun vestito» scherzai in parte, con la voce arrochita dal desiderio.


«Ho promesso a Nan che saremmo andati, dice che non sopporta le fidanzate dei tuo colleghi», ridacchiò.


Teresa e Nan negli ultimi tempi erano diventate molto amiche, si scambiavano spesso messaggi e ogni tanto le sentivo parlare al telefono, un paio di volte erano uscite insieme e quella novità mi aveva reso davvero felice. Nan per diverso tempo era stata una delle mie migliori amiche, ed ero contento che si fosse creato quel rapporto tra di loro.


Si staccò da me tornando agli abiti.


«Metti quello oro» mormorai, con un sorriso stampato sul volto, facendo un cenno col capo al vestitino brillantato a maniche lunghe, aderente, incrociato sul davanti e con un profondo scollo. Ricordavo tutti quei dettagli perché glielo avevo visto indosso la sera prima, mentre si provava un vestito dietro l’altro, e ricordavo ancora meglio com’era stato levarglielo.


Un sorrisetto malizioso le incurvò le labbra. «Vada per quello oro»
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