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Capitolo 5




Cadere in tentazione






“Ogni impulso


che ci sforziamo di soffocare


cova nella mente e ci avvelena…


L’unico modo per sbarazzarsi


della tentazione è cedervi.”


~ Oscar Wilde






Travor


«L’appuntamento con Marry Me, è confermato per le dieci» mi informò Giselle.


«Perfetto», feci un cenno del capo senza distogliere lo sguardo dallo schermo del Mac.


Sentivo ancora i suoi occhi su di me ma continuai ad ignorarla ed alla fine sentii i suoi tacchi allontanarsi.


«Pranziamo insieme?».


Ruotai la sedia in direzione di Jex. «In base a che ora finisco, ci sta», rimasi sul vago. Una parte di me voleva andare a pranzo con il suo migliore amico, l’altra invece voleva rintanarsi nel suo guscio per non uscirne più.


Mi perforò con i suoi occhi verdi senza però insistere. «Va bene».


Tornai a girarmi verso la mia postazione e controllai l’orario. Mancava ancora un’oretta prima dell’incontro con il cliente ma decisi comunque di iniziare a prepararmi. Stampai dei moduli di liberatoria, che sarebbero serviti per il consenso delle clienti ad utilizzare la loro immagine per l’idea di pubblicità che mi ero fatto. Poi infilai una nuova memoria nella mia Nikon, e la riposi dentro la sua custodia.


«Mi mandi tu un messaggio?» mi gridò dietro Jex prima che mi allontanassi.


Istintivamente giocherellai con gli anelli che avevo alle dita. «Certo».


Me ne andai senza voltarmi indietro ed una volta in sella alla mia moto diedi gas e tornai a respirare.






«È un piacere rincontrati Travor», la proprietaria del negozio di abiti da sposa per cui avrei realizzato una campagna pubblicitaria mi salutò dandomi due baci sulle guance, mi sentii a disagio ma cercai di non farlo notare, «Posso darti del tu?».


«Certo, come va?». Cercai di mettere su un sorriso mentre la donna sulla cinquantina mi elencava le difficoltà di aprire una nuova attività – cosa, che tra l’altro, aveva già fatto la prima volta che ci eravamo incontrati per parlare delle sue esigenze ed esporle le mie proposte. 


«Ma sono sicura che con la tua idea la pubblicità sarà magnifica. Catturare le spose nell’attimo più intimo del matrimonio, nella scelta dell’abito da sposa, cosa può esserci di più reale?». Era una domanda retorica, che non necessitava risposta, così decisi di non replicare.


Le porsi i moduli per la liberatoria che avrebbero dovuto firmare le clienti che avrei fotografato, poi mi fece fare un veloce giro del negozio per farmi un’idea dell’ambiente – era tutto nelle tonalità del rosa e del bianco, mi sentivo fottutamente a disagio!


Quando una cliente le chiese un consiglio mi lasciò da solo. «Inizia pure, io arrivo tra un attimo».


Le feci un cenno col capo, poi smisi di guardare con gli occhi ed utilizzai l’obbiettivo della mia Nikon. Feci qualche scatto agli abiti sui manichi, qualche primo piano dell’entrata del negozio, poi iniziai a girare attorno ai camerini.


Guardare il mondo attraverso un obbiettivo era qualcosa che mi aveva sempre emozionato. Poter mettere a fuoco un dettaglio, sfocando tutto quello che era superfluo… sarebbe bellissimo poterlo fare anche con la propria vita, riuscire a mettere a fuoco solo le cose belle e lasciare la malinconia e la tristezza sullo sfondo.


«È lui» sentii esclamare con un tono di pura gioia ed emozione.


Quella voce… l’avrei riconosciuta tra mille.


Mi voltai di scatto ed involontariamente il suo nome sfuggì dalle mie labbra. «Claire…».


La donna che personificava la mia personale dipendenza – l’extasy di miglior qualità – si voltò incastrando le sue iridi argentee alle mie. Non riuscii ad impedirmi di far vagare il mio sguardo sul suo corpo, su quell’abito bianco, puro, che avvolgeva quel suo corpo che io ero stato in grado di sporcare.


«Ti sposi» mi uscì quell’ovvietà della bocca, mentre rimanevo imbambolato a fissarla.


Il suo sguardo era imbarazzato mentre scendeva dalla pedana e faceva un passo verso di me, si scostò una ciocca bionda dal viso, quella stessa seta che mi piaceva farmi passare tra le dita. 


Dio, quanto era bella! Ed una volta era mia, prima che rovinassi tutto con le mie gesta.


«Si, si sposa con un uomo che la ama e la rispetta», la voce di sua madre fu come un pugno dritto allo stomaco.


Feci un passo indietro, come se fossi stato colpito fisicamente. E mi sentivo come se fosse successo realmente, cazzo!


Pensai a Logan, l’uomo che era degno di Claire, a differenza mia, e che l’avrebbe sposata facendola sua per sempre. Lo avevo incontrato qualche volta: cinque anni prima, quando mi ero comportato da perfetto idiota ed ero andato a cercare di riprendermela con la forza; circa sei mesi fa, quando anche lui aveva sfogato la sua rabbia sul mio volto, come aveva fatto il fratello di Claire, colpendomi, come era giusto che succedesse, anche se ero andato li solo per chiederle definitivamente perdono per quello che le avevo fatto.


«Vi conoscete?», la voce della proprietaria del negozio mi riscosse dai miei pensieri, ma ne io ne Claire aprimmo bocca. «Si occuperà della campagna pubblicitaria del negozio», continuò, «Farà delle foto alle spose nel momento della scelta dell’abito. Perché non ti fai fare una foto? Quel vestito ti sta d’incanto».


Claire tentò di tirarsi indietro ma la proprietaria insistette. Così le diede retta, si rimise sulla pedana e mi guardò a disagio. Appena distolse lo sguardo scattai un foto, quando tornò a guardami io lo stavo facendo attraverso l’obiettivo, e quello mi portò indietro nel tempo. A tutte le foto e i video che le avevo fatto quando era ancora mia, a tutti i file che avevo ancora nel computer e che quando avevo voglia di farmi una dose aprivo per perdermi nella mia dipendenza più grande: lei.


«Bellissima» esclamò la mia cliente osservando gli scatti che avevo fatto a Claire.


«Si» sussurrai guardandoli a mia volta. 


Quando la macchina fotografica mi fu restituita venni invaso da una sorta di apatia e senza incrociare una volta di più quegli occhi argentei mi allontanai per fare il mio lavoro.


Quel senso di torpore mi accompagnò per il resto della giornata. Quando lasciai il negozio di abiti da sposa inviai un messaggio a Jex per dirgli che non avrei fatto in tempo a pranzare con lui anche se non era vero. Invece preferii salire in sella alla mia moto, con la speranza di sentire l’adrenalina scorrermi nel sangue, mentre diedi gas senza una meta precisa
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