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Capitolo 6




Broken






“‘Cause it’s broken broken


something got broken like stolen


stolen, like if it was stolen


and hurting, hurting


I have been hurting and now


only time will tell


time will heal”


~ Elisa (Broken)






Teresa


Cosa diavolo mi è passato per la testa?, mi domandai mentre il tizio davanti a me apriva la porta di casa sua.


Niente, era la risposta. 


Non mi ero soffermata a pensare a cosa stessi facendo, nemmeno quando mi aveva passato il casco per salire in sella alla sua moto, mentre il cielo riversava su di noi tutto il suo sconforto. Non avevo obbiettato quando mi aveva detto di tenermi forte, e così avevo passato le mani attorno alla sua vita e stretto le cosce attorno al suo corpo. Non mi ero nemmeno rifiutata di entrare in quel palazzo sconosciuto, di salire in ascensore con un perfetto estraneo, per raggiungere il suo appartamento.


Niente, non avevo fatto o detto assolutamente niente, se non il mio patetico “Non ti conoscono. Perché dovrei fidarmi di te?”. Nemmeno il fatto che lui avesse concordato con me sul non fidarmi mi aveva dissuasa dall’accettare il suo invito.


Si fece da parte per farmi entrare nel suo appartamento. 


Anche in quel momento rimasi in silenzio.


«Il bagno è da quella parte» disse passandosi una mano tra i capelli biondi, zuppi di goccioline d’acqua, mentre col capo mi fece un cenno verso un piccolo corridoio.


Non mi soffermai a guardarmi intorno, non che ci fosse poi molto. Era un semplice loft, con una cucina a vista sul salotto, un piccolo corridoio che portava al bagno e delle scale che conducevano ad un soppalco dove immaginai esserci la camera da letto.


«Puoi andare a farti una doccia calda e ad asciugarti se vuoi» continuò visto che non mi mossi.


Feci un cenno col capo e mormorai un grazie prima di dirigermi verso il bagno. Lasciai cadere il borsone e la mia borsa ai miei piedi prima di chiudere a chiave la porta alla mie spalle ed appoggiarmici contro con la schiena.


«Che diavolo sto facendo qui?» mi chiesi ad alta voce.


Non lo conoscevo, non sapevo nulla di lui. Poteva essere benissimo un maniaco od un serial killer. Solo perché ci eravamo incontrati una volta questo non faceva di lui un mio amico. Non era nemmeno un mio conoscente, dannazione, non sapevo nemmeno il suo nome! Ricordavo vagamente le sue parole durante l’incontro degli A.A., aveva detto di essere un tossicodipendente, ma di essere pulito da cinque anni. Aveva accennato ad una donna e detto che non tutte le dipendenze riguardano l’alcol o la droga. Non ricordavo niente di più. Ed adesso ero a casa sua, disposta a farmi una doccia nella sua doccia, disposta a passare la notte a casa di un perfetto sconosciuto.


Poco dopo aver finito di lavarmi ed aver chiuso l’acqua sentii due colpi alla porta.


«Ho dei vestiti asciutti se vuoi…», aveva un tono incerto e forse anche un po’ imbarazzato.


Lanciai un’occhiata al mio borsone ancora sul pavimento, era zuppo e sicuramente anche ciò che c’era al suo interno lo sarebbe stato. Mi strinsi l’asciugamano – che avevo trovato in un mucchio – al petto e poi socchiusi leggermente la porta
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