#FanFiction #CinquantaSfumaturediMrGrey #ThisMan #AnitaSessa

Mia madre, Mia, Elliot. Ethan Kavanagh e Josè. Una Anastasia disperata e in lacrime. Sono tutti lì a fissarmi, mentre il mio sbalordimento aumenta. Il silenzio riecheggia tra di noi, mentre fatico a capire il perché di quei visi sofferenti. A riscuoterci è il grido strozzato di mia madre.
«Christian!» urla, gettandosi nella mia direzione.
Faccio solo in tempo a poggiare delicatamente la giacca sul pavimento, insieme con le scarpe e le calze. Mia madre, in un gesto così poco usuale per noi, mi abbraccia, stringendomi a sé, baciandomi ripetutamente le guance. La stringo, confortato da quel calore dopo la pessima giornata, ma i miei occhi sono calamitati dai suoi. Mi fissa freddamente, come per mettermi a fuoco. Dio, ma cos’è successo qui?
«Mamma?»
La guardo, scostandomi leggermente da lei, che continua ad accarezzarmi il viso e i capelli, ben consapevole del fatto che non può toccarmi altrove. Il desiderio di sentire le sue amorevoli carezze mi tiene avvinto per un attimo al suo sguardo. Ma non è oggi il momento di capire quanto possiamo spingerci oltre.
«Pensavo che non ti avrei rivisto mai più» mi sussurra, baciandomi di nuovo, tra le lacrime.
«Mamma, sono qui.» la rassicuro, iniziando a sentire il senso di colpa serpeggiarmi dentro.
«Sono morta un migliaio di volte oggi» mormora con un filo di voce, piangendo e singhiozzando senza più contenersi.
La mia espressione si incupisce. Il sospetto di essere diventato un caso mediatico nelle ultime ore mi aveva sfiorato. Ma ora ho piena contezza di quello che ho causato alla mia famiglia. Avrei dovuto avvisarli. Avrei potuto in effetti. Ma sono rimasto concentrato sulla mia folle ossessione per Josè e quello che avrebbe potuto fare ad Ana in mia assenza. Ana. La mia bellissima Ana che ora mi fissa, distrutta dal pianto. D’istinto abbraccio Grace. Le sfugge un sussurro sorpreso, ma subito si lascia andare, singhiozzando sulla mia camicia.
«Oh, Christian» dice a malapena, con la voce rotta dal pianto, stringendosi di più a me.
Le accarezzo la schiena, la cullo tra le mie braccia, assaporando quel contatto tra madre e figlio che ho tanto agognato in tutti questi anni. Ma il mio sguardo è solo per lei. Solo per Anastasia, per il suo bellissimo volto rigato da grosse e calde lacrime. IL grido di mio padre dal corridoio mi fa voltare di scatto, mentre Grace sussulta, impaurita.
«È vivo! Merda… sei qui!»
Lo vedo uscire dall’ufficio di Taylor. Mi fissa per qualche istante, guarda il modo in cui stringo la mamma. E poi si precipita ad unirsi al nostro abbraccio, aggrappandosi ad entrambi. Tutto quel calore è così nuovo per me. E’ tutto così diverso. Per la prima volta sento di non essere solo, di non dover per forza contare solo su me stesso. Sento di far parte della mia famiglia fino in fondo. IL petto di mio padre sussulta per un singhiozzo.
«Papà?» chiedo sconvolto, alzando di poco la testa.
Sento Mia fare un verso di gioia e di esasperazione allo stesso tempo. Poi con un balzo è accanto a noi, aggiungendosi a questo strambo abbraccio di gruppo. Mio padre è il primo a staccarsi. Si asciuga lentamente gli occhi offuscati dalle lacrime e mi batte una mano sulla spalla, sorridendomi calorosamente. Anche Mia si stacca, asciugandosi gli occhi rossi. Infine, anche mia madre fa un passo indietro. Guarda le sue braccia, poi le mie, e abbassa lo sguardo, rendendosi conto solo ora di quanto siamo vicini.
«Scusa» mi sussurra, portandosi una mano alla bocca e singhiozzando di nuovo.
«Ehi, mamma, va tutto bene» la rassicuro.
«Dove sei stato? Che cos’è successo?» mi chiede, piangendo di nuovo, afferrandosi la testa con le mani senza riuscire a smettere di lacrimare.
Guardo quella donna che darebbe la vita per me, ne sono certo. In qualche modo è proprio quello che ha fatto 24 anni fa. Mi ha donato la sua esistenza, ha perso i suoi anni migliori dietro un bambino complicato, un adolescente problematico e un uomo troppo confuso e ricolmo di problemi per lasciarsi andare all’affetto dei propri cari, di quella famiglia in cui è sempre stato, ma alla quale non è mai appartenuto fino in fondo. Almeno fino ad oggi.
«Mamma» mormoro, facendo un passo avanti e stringendola di nuovo.
Le mie labbra si perdono nei suoi capelli, cercando, con un piccolo e umile bacio, di ripagarla almeno un po’ di quello che ha fatto per me in tutti questi lunghi e tormentati 24 anni.
«Sono qui. Sto bene. Mi ci è solo voluto un tempo infinito per tornare da Portland. Cos’è questo comitato di accoglienza?» chiedo con un mezzo sorriso.
Quando alzo gli occhi mi riscuoto, scrutando tutti i prensenti. Ci sono davvero tutti. Persino Miss Irritazione dai Capelli Rossi. E sembra anche dispiaciuta. Ma è lei che subito cercano i miei occhi. Solo lei. Solo in questo momento mi accorgo che il figlio di puttana le tiene la mano. Lo guardo e lui la lascia andare. Stringo gli occhi fino quasi a socchiuderli e le mie labbra si tendono in una linea dura. Ana, sospira, le lacrime continuano a scorrere come un fiume. E’ distrutta. Ma sempre bellissima. Devo sforzarmi per tornare a concentrarmi sulla piccola donna tra le mie braccia, ancora scossa dai singulti.
«Mamma, io sto bene. Cos’è successo?» le chiedo, prendendole il viso bagnato tra le mani e asciugandole le lacrime.
«Christian, sei stato dato per disperso. Il tuo piano di volo…Non l’hai mai comunicato a Seattle. Perché non ci hai contattati?»chiede, con una disperazione che non le ho mai visto.
«Non pensavo che mi ci sarebbe voluto così tanto» le dico, guardandola sconfortato, capendos olo ora come deve essersi sentita per tutte queste ore.
Come devono essersi sentiti tutti.
«Perché non hai chiamato?» chiede, tirando su con il naso e guardandomi con aria d’accusa.
«Il mio cellulare aveva la batteria scarica.»
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Cinquanta sfumature di Mr Grey – Capitolo 46
Inchiodo fuori da Lusso e non ho neppure spento il motore dell’auto che Ava è già saltata giù. John arriva dietro di noi mentre lei entra nell’atrio. Gli dico di portare di sopra i bagagli di Ava, facendosi aiutare dal portiere, e poi prendo l’ascensore per raggiungerla. Quando apro la porta l’inconfondibile odore della cena di Cathy mi invade le narici. Faccio un passo all’interno e trovo Ava in piedi di fronte alla mia governante. Sposto lo sguardo dall’una all’altra, rimanendo in silenzio per un attimo.
«Cathy, è meglio se vai adesso. Ti spiego domani» dico poi con calma, cercando di trattenere la rabbia nella mia voce.
«Certo» replica lei con l’aria di chi capisce benissimo la situazione.
Poggia sul tavolino il piumino e il flacone che stringe tra le mani e si sfila velocemente il grembiule.
«La cena è in forno. Ci vorranno trenta minuti» dice, raccogliendo la sua borsa da terra e infilandoci dentro il grembiule.
Sorride ad Ava, poi si allontana, venendo verso di me. Mi chino a baciarle la guancia, stringendole la spalla con fare rassicurante. Esce fuori proprio mentre l’ascensore arriva di nuovo e ne fuoriescono John e Clive con le borse di Ava.
Lei, furiosa come una belva, entra a grandi passi in cucina, spalancando il frigorifero scrutandolo con aria non propriamente presente prima di richiuderlo con un colpo secco, uscendo dalla stanza per salire al piano superiore. Sento un’altra porta che sbatte e capisco che si è rifugiata in bagno. Sospiro, cercando di calmarmi. John e Clive lasciano le sue cose accanto alla porta e mi lasciano solo. I miei occhi si posano sulla sua borsa, abbandonata in un angolo. Mi mordo il labbro inferiore, tentando di resistere al desiderio di sbirciare il suo telefono per scoprire se il suo ex le ha scritto o l’ha chiamata. Affondo i denti nel labbro fino quasi a farmi male, ma non riesco a dominarmi. Mi avvicino a grandi passi, in cerca del telefono. Apro la borsa, ma due cose catturano la mia attenzione. Un flacone di vitamine. Il cuore mi batte forte. Vitamine. Ne ha bisogno. E’ incinta. Sto quasi per andare ad abbracciarla forte di sopra, quando il cuore mi si ferma di colpo. Un foglio di carta è appoggiato con noncuranza lì accanto. Sono orari di voli. E la destinazione mi dice immediatamente con chi dovrebbe volare. Stringo quel foglio tra le dita e mi faccio gli scalini due per volte, piombando in camera da letto e giungendole alle spalle in bagno.
Tremo e sono fuori di me. So benissimo che in questo stato potrei dire o fare cose di cui mi pentirei sicuramente. Ma non riesco a trattenermi. Sono incazzato. Incazzato nero.
«Cosa CAZZO è questo?» urlo, stringendo i denti.
Ava aggrotta la fronte, fissando il foglio che stringo in mano. Quando capisce di cosa si tratta mi guarda prima allarmata, poi infuriata.
«Hai frugato nella mia borsa!» urla sconvolta.
La fisso con il mento sollevato, in segno di sfida. Le agito il foglio davanti al naso, respirando a fatica per quanto sono incazzato. Le sue labbra diventano una linea sottile. Mi spinge di lato e esce velocemente dalla stanza, avviandosi verso il piano inferiore. La seguo di corsa e la vedo afferrare la borsa dal pavimento, dove l’ho lasciata, e portarla in cucina.
«Cosa diamine stai facendo?» le urlo dietro senza capire. «Non è lì, è qui» aggiungo, gettandole il foglio nuovamente sotto al naso.
Lei mi ignora, infilando le mani nella borsa e iniziando a frugarci dentro come se fosse alla ricerca di qualcos’altro. Cosa diamine mi nasconde? Non lo so, ma mi sto spazientendo.
«Non andrai in Svezia né in Danimarca o in nessun altro cazzo di posto, per quel che conta!» urlo fuori di me.
La mia voce suona arrabbiata, certo. Ma la verità è che ho una paura fottuta di perderla. Dice di amarmi. Ma mi mente. E Mikael è abbastanza affascinante da sedurre una ragazza. I suoi occhi sembrano incuriositi dal mio tono. Si blocca, sollevando gli occhi scuri e penetranti su di me. Mi scruta a lungo e a fondo.
«Non frugare nella mia borsa» dice, scandendo piano le parole.
Il suo trono trasuda esasperazione, frustrazione. Faccio due passi indietro, gettando il foglio sull’isola della cucina con rabbia a stento repressa.
«Perché, cos’altro mi nascondi?» chiedo, massaggiandomi la tempia.
«Niente!» replica inviperita.
«Lasciami dire una cosa, Lady» dico con un sospiro, avvicinandomi con appena due falcate. «Dovrei essere morto prima che tu possa partire con quel coglione donnaiolo»
La fisso, ansimando a fatica.
«Lui non verrà!» urla, sbattendo la borsa sul ripiano in marmo.
Mi fa quasi sorridere la sua ingenuità. Mi passo la mano sulla bocca, esasperato.
«Certo che verrà. Ti seguirà, fidati. È instancabile quando si tratta di inseguire le donne» dico, scuotendo la testa.
Ava scoppia a ridere beffarda.
«Proprio come facevi tu?» dice acida.
«Era un’altra cosa!» sbraito nuovamente furibondo.
Chiudo gli occhi, mi sta scoppiando la testa. Mi massaggio nuovamente la tempia, sperando in un miracolo divino.
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Il Lord del Maniero – Capitolo 51 (seconda parte)

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