#FanFiction #CinquantaSfumaturediMrGrey #ThisMan #AnitaSessa

«Mi sposerai?» le sussurro incredulo, con un filo di voce, guardandola allibito.
Non riesco a capacitarmene. Non riesco a credere che abbia deciso di appartenermi per sempre. Di essere mia di fronte al mondo. Mia. Ripeto quella parola percependone ora il significato pieno. Mia. Per sempre. Davanti all’intero universo. Anastasia annuisce e il suo viso pallido si tinge di rosa. Il respiro accelera e abbassa gli occhi, accennando un piccolo sorriso. Rimango a guardarla, fisso, senza chiudere le palpebre fino a che la visione non appare sfocata. Fatico a deglutire. Ho bisogno di sentirlo dalla sua bocca. Ho bisogno di sentirglielo dire quel sì. Stringo forte il portachiavi che ho in mano.
«Dillo» le ordino piano in un sussurro roco.
Ana alza la testa, fissandomi negli occhi.
«Sì, ti sposerò» mi dice con un sorriso.
Con un sospiro profondo espello tutta l’aria che stavano trattenendo i miei polmoni. Senza preavviso la stringo tra le braccia, sollevandola dal pavimento e facendola volteggiare nell’ampio salone. Rido, sollevato da un peso. Rido di felicità. Rido di gioia. Pura gioia. Rido, esultando come un bambino a cui è stato dato esattamente il regalo di compleanno che voleva. Rido come un uomo che ha appena scoperto di poter tenere per sé l’amore della sua vita. Anche lei mi sorride e poi si lascia contagiare, aggrappandosi alle mie braccia e lasciandosi andare con la testa piegata all’indietro. La metto giù all’improvviso, lasciando scivolare il suo corpo contro il mio e, senza perdere tempo, mi lancio sulla sua bocca, baciandola a fondo, fino a lasciarci entrambi senza respiro.
Le mie mani corrono al suo viso, toccandone tutti i dettagli, quasi per assicurarmi che sia vera. Che sia qui sul serio e io non sia invece morto in quel fottutissimo incidente e mi ritrovi in paradiso. Perché tutta questa felicità io non l’ho mai provata prima. La mia lingua è di nuovo contro la sua, che scivola instancabile. L’assaggio, la venero, la amo. Mi stacco pochi attimi per riprendere fiato, ammirando le sue gote arrossate dal piacere.
«Oh, Ana» mormoro piano contro le sue labbra, respirando a fatica.
E subito siamo di nuovo insieme, a baciarci come se da questo dipendesse la nostra vita. Sorrido di pura felicità contro la sua bocca e la vedo fare lo stesso, mentre non riusciamo a smettere di baciarci. Piccoli baci, morbidi, languidi.
«Pensavo di averti perso» mi sussurra piano, senza fiato.
«Piccola, ci vuole molto più di un 135 in avaria per tenermi lontano da te» le dico rassicurandola.
«Un 135?» chiede confusa.
«Charlie Tango. È un Eurocopter EC135, uno dei più sicuri della sua categoria»
‘Troppo sicuro perché capiti un incendio ad entrambi i motori, Grey’. Quel pensiero mi fa allontanare da lei di qualche centimetro. La situazione è strana, ma ora non voglio neppure pensarci. Stringo forte il portachiavi che ho tra le dita, ripensando al momento in cui me lo ha dato e a come l’ho custodito come se fosse una reliquia. Mi fissa, corrugando la fronte, mentre io faccio lo stesso.
«Aspetta un attimo. Mi hai dato questo prima che vedessimo Flynn» dico, sollevandolo all’altezza dei suoi occhi e guardandolo con paura.
“Mi volevi sposare prima, Anastasia. Ma dopo ieri sera? Dopo tutto quello che ti ha detto? Non sarà che mi hai detto sì solo perché hai temuto che morissi?”. Ana annuisce, un’espressione seria sul suo bellissimo volto.Spalanco la bocca, guardandola con un’emozione strana nel cuore che non so bene decifrare. Lei si stringe nelle spalle, come per scusarsi.
«Volevo che sapessi che qualsiasi cosa Flynn mi avesse detto non avrebbe fatto alcuna differenza per me» mi dice, mordicchiandosi il labbro.
Sbatto le palpebre, scioccato, ripensando a quanto ho penato in questi ultimi giorni per avere una risposta da lei.
«Perciò ieri sera, quando ti pregavo di darmi una risposta, ce l’avevo già?» sussurro, sgomento, fissando di nuovo il portachiavi e poi la scatolina caduta ai miei piedi.
Lei annuisce ancora una volta, cercando di valutare la mia espressione.La fisso, con stupore. “Vedi questo scricciolo cosa è riuscita ad architettare. E’ l’unica che sia mai riuscita a tenermi sulle spine”. Stringo gli occhi, fissandola e faccio una smorfia divertita. “Questo è più di un punto per te, Miss Steele”.
«Tutta quella preoccupazione» le sussurro, ancora incredulo.
Lei mi sorride di nuovo, più sollevata di prima, come una bambina che ha appena fatto una marachella.
«Oh, non cercare di fare la furba con me, Miss Steele. In questo preciso momento, voglio…» mi passo una mano nei capelli, bloccandomi e impedendomi di confessarle quanto vorrei mettermela sulle ginocchia e sculacciare quel suo meraviglioso sedere. Ma non siamo soli in casa. Le lancio un’altra occhiata, mentre l’incredulità fatica ad abbandonarmi. «Non posso credere che tu mi abbia lasciato in sospeso» sussurro.
La guardo malizioso, vedendo in lei l’unica donna sulla faccia della terra capace di tenermi testa. Bè, forse le sculacciate non saranno una punizione adeguata dal momento che ha appena accettato di diventare la mia futura moglie. Ma posso sempre scopare la mia futura moglie fino a farla svenire di piacere. Le sorrido pigramente, accarezzandola con uno sguardo lascivo.
«Credo che qui ci voglia una punizione, Miss Steele» le mormoro dolcemente, chinandomi sul suo orecchio e lambendone il lobo con la lingua.
Ana sgrana gli occhi, un’espressione di attesa e desiderio, misti ad un pizzico di paura, le anima gli occhi mentre fa un passo indietro. Sorrido, osservando il suo movimento impulsivo.
«È questo il gioco?» sussurro, avvicinandomi. «Perché io ti darò la caccia.» aggiungo, fissandola intensamente.
I suoi denti affondano quasi dolorosamente nella tenera carne del suo labbro inferiore, mentre gli occhi si sgranano e le pupille si dilatano per il desiderio.
«E ti stai mordendo il labbro» aggiungo minaccioso, ma in realtà solo animato da una cupa bramosia che mi sta a poco a poco invadendo il corpo.
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Cinquanta sfumature di Mr Grey – Capitolo 47 (prima parte)
<<Cosa c’è che non va, Jesse?>>
Sarah mi ha fatto questa domanda un minuto fa, all’incirca. Ma io ancora sono qui e non ho avuto né la forza e né il coraggio di rispondere. Lei aspetta pazientemente, giocando con l’orlo dell’abito rosso fuoco che indossa. Si morde il labbro inferiore, passando poi la lingua sul segno che ha lasciato. E mi fissa. Aspetta. Non mi mette pressione.
<<E’ troppo>> sussurro alla fine.
Sarah sorride, ma è una sorta di sorriso a metà tra il divertito e il sarcastico.
<<Intendi che Ava ti mette troppo sotto pressione?>> chiede, con un sopracciglio sollevato.
Per la prima volta le sento pronunciare il suo nome. Corrugo la fronte, meditando sulla tua domanda.
<<In realtà no. Forse, anzi, è il contrario. E’ la situazione, l’intera situazione a mettermi sotto pressione. Voglio che non finisca, voglio che non mi lasci. Ma per ottenerlo continuo ad incasinare ogni cosa>>
Mi sorprendo io stesso della quantità di parole che mi escono di bocca. Sarah stringe le labbra, poi lo sguardo le cade sulla mia mano gonfia e livida. Sbuffa, scuotendo la testa. Afferra l’interfono e compone il codice della hall, chiedendo una borsa del ghiaccio. Meno di un minuto dopo una delle inservienti provvede a consegnarcela. Sarah la poggia sulla mia mano, restando in silenzio per tutto il tempo.
<<Non puoi continuare ad andare avanti così>> mi dice alla fine.
<<E cosa dovrei fare?>> le chiedo sconfitto.
Apre la bocca per parlare, ma delle voci fuori alla porta ci bloccano entrambi. Un secondo dopo la porta del mio ufficio si spalanca e Ava compare sulla soglia. I suoi occhi si riducono a due fessure sottili quando si posano su Sarah. Poi nota la bottiglia e la vedo sbiancare di colpo. Sgrano gli occhi, deglutendo in attesa della sua reazione.
Ava mi guarda per un lunghissimo istante. Mi rendo conto di essere girato completamente verso Sarah e faccio ruotare la mia poltrona per guardare invece lei. Inala a fondo, sollevando il mento e facendo un solo passo nella stanza. Ma basta, perché sembra risucchiare tutto il resto del mondo. Esiste solo lei. Tutto scompare, tutto torna a posto. Il mio cuore batte di nuovo e io ho voglia di sentirlo battere per lei.
«Hai bevuto?» mi chiede in tono stranamente calmo.
Scuoto la testa, ma so che non le basta.
«No» replico piano.
La mia voce è intrisa di sensi di colpa. Mi vergogno e abbasso lo sguardo. Sarah tenta di farmi forza mettendomi una mano sul braccio e accarezzandomi, ma credo stia solamente peggiorando la situazione. Sussulto sotto al suo tocco e immediatamente scruto Ava per valutare la sua reazione.
Inala bruscamente, fulminandola con lo sguardo.
«Ti dispiace?» dice poi con toni poco garbati.
E’ furiosa. E’ davvero furiosa. Sembra me quando becco qualcuno a ronzarle intorno. E questa sua reazione mi conforta in un certo senso. Ci tiene. Mi ama. Mi ama nonostante io sia un coglione.
Sarah fa il pessimo errore di ignorarla, continuando ad accarezzarmi il braccio. La mia piccola guerriera inizia ad innervosirsi sul serio e, siccome dopotutto la testa di Sarah mi piace lì dove sta ora, sono io che sposto il braccio, impedendole di toccarmi ancora.
«Scusa?» le domanda Sarah, guardandola.
«Mi hai sentito» replica lei con forza, con rabbia, fulminandola con lo sguardo.
Se non fossi così incasinato ora, questo sarebbe divertente. Estremamente divertente. Ma la situazione strana rende tutto ingarbugliato. E so che quando Sarah uscirà di qui la rabbia di Ava cambierà bersaglio.
Sarah, intanto, non accenna a muoversi. Si guardano in cagnesco per un po’, poi lei si sporge dall’angolo della mia scrivania e si china su di me per darmi un bacio sulla guancia.
«Chiamami se hai bisogno, tesoro» mi sussurra, leccandosi le labbra quando si stacca da me.
Mi irrigidisco, cercando di capire perché Sarah vuole a tutti i costi mettermi nei casini. I miei occhi puntano Ava, ancora una volta per valutare le sue reazioni. Inizio a muovere convulsamente la gamba, sotto la scrivania, in ansia per lo scontro che mi aspetta.
«Ciao, Sarah» dice Ava in tono acido.
Sarah scende dalla scrivania e se la prende comoda ad attraversare la stanza. Ava apre la porta e non appena Sarah supera la soglia gliela sbatte dietro e sono certo che l’abbia appena colpita con l’uscio.
Quando si volta, mi scruta attentamente. Mi mordo il labbro perché in questo momento è indecifrabile e sto cercando di capire in che direzione stiamo andando. Il suo mento si solleva e indica la vodka appoggiata al tavolo.
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Il Lord del Maniero – Capitolo 52

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