#FanFiction #CinquantaSfumaturediMrGrey #ThisMan #AnitaSessa

Dopo un pomeriggio passato a coccolarci all’Escala, siamo di nuovo in auto, diretti a Bellevue. So che sarà una serata difficile. Mia madre, passata la sbornia di ieri sera, mi metterà letteralmente sotto torchio. E dovrò affrontare anche mio padre, ne sono certo. Sospiro, guardando fuori dal finestrino. Il sole sta tramontando all’orizzonte e vorrei essere lì con lui, sparire come tra poco sparirà lui. Anche se so che parlarne con i miei metterà un punto definitivo a quella parte del mio passato. Sento una pressione sulla mano e poi un calore familiare. Quando mi volto vedo il sorriso incoraggiante di Ana. La sua mano è stretta attorno alla mia, entrambe abbandonate sul mio grembo. Chiudo gli occhi, liberandomi all’istante degli spettri che ancora mi porto dietro. Quando li riapro il mio sguardo incontra il suo, limpido ed azzurro come non mai. Le sorrido di rimando, chinandomi a baciarla proprio mentre Taylor imbocca il vialetto della casa dei miei.
«Ce la farai» mi dice quando mi stacco da lei.
«Non conosci Grace Trevelyan Grey» le dico ironico, con un mezzo sorriso.
«Bé se è la donna che ieri sera ha schiaffeggiato Mrs Robinson per difendere suo figlio, penso che tu non abbia motivo di temerla» ribatte facendomi l’occhiolino.
Scuoto la testa, sorridendo divertito e apro lo sportello, scendendo dall’auto. Faccio un cenno a Taylor, che si adopera immediatamente per mettere in atto la sorpresa che ho in mente per la seconda parte della serata. Poi faccio  il giro della vettura e vado ad aprire anche il suo, porgendole la mano per aiutarla a scendere. Le sue lunghe gambe seminude mi mandano in visibilio ogni volta che i miei occhi si posano su di esse. E’ l’effetto è duplicato ogni volta che indossa quel vestito color prugna. Ho desiderato strapparglielo di dosso dalla prima volta in cui l’ho visto, la sera che le ho dato il contratto. Poche settimane fa. Poche settimane che sembrano essere una vita per tutto quello che ci hanno riservato. Quando si mette in piedi, fermo la sua mano che sta correndo verso l’orlo dell’abito per metterlo in ordine.
«Lascia fare a me» la provoco.
Le mie dita scorrono leggere sulla stoffa, dalla vita sino al ginocchio. Il suo respiro accelera rapidamente. Disegno piccoli cerchi sul retro del suo ginocchio e la sento gemere piano, mentre la pressione delle sue dita sulla mia spalla aumenta. Ridacchio tra me e me e do un piccolo strattone alla gonna, rimettendola a posto e facendo tornare Anastasia bruscamente alla realtà. Quando abbassa gli occhi su di me, scorgendo il mio sorrisetto impudente, mi regala una delle sue occhiate gelide. Rialzandomi mi chino a baciarle la pelle appena sotto l’orecchio.
«Suvvia, Miss Steele. Non vorrai che io sia l’unico a sentirmi a disagio in quella casa» le sussurro, causandole un piccolo tremito.
«Non stai giocando lealmente, Mr Grey» borbotta, scostandosi da me e avviandosi velocemente lungo il vialetto.
La raggiungo in due falcate, attirandola a me e baciandole la tempia proprio mentre mio padre apre la porta. Il suo sorriso è meno caloroso del solito. ‘Ecco, Grey. Sei fottuto’. Deglutisco, stringendogli la mano che mi porge dopo aver abbracciato Anastasia. Entriamo in casa e Carrick ci fa strada fino al salone, dove, sul sofà, troviamo Elliot e Kate, avvinghiati come al solito, mentre Mia e Ethan parlottano accanto al camino ovviamente spento. Mi soffermo su quest’ultima coppia, guardandoli con la fronte aggrottata. Non sono stupido, ho notato che ultimamente quei due si sono avvicinati e molto. Mi appunto mentalmente di fare un discorsetto a Mia prima di andare via. Mi giro intorno, mentre veniamo risucchiati nel vortice dei saluti, ma non riesco a scorgere mia madre da nessuna parte. Sto per chiedere di lei a Carrick, ma lui mi anticipa, avvicinandosi e mettendomi una mano sulla spalla.
«Tua madre ti aspetta in cucina, Christian. Poi, gradirei che tu mi concedessi cinque minuti del tuo tempo nel mio studio» mi dice pacato.
Lo scruto per un attimo. E’ calmo, come sempre, ma non riesce del tutto a nascondere il fatto che qualcosa lo turbi. Annuisco e mi avvicino ad Ana per avvisarla.
«Torno subito» le sussurro all’orecchio.
I suoi occhi si spostano sui miei. Mi sorride ed annuisce, mentre le rubo un piccolo bacio d’incoraggiamento.
Quando faccio il mio ingresso in cucina, il coraggio appena trovato nelle labbra della mia futura moglie si sgretola rapidamente al cospetto degli occhi lucidi di mia madre, seduta accanto al tavolo con una tazza di tè fumante. Credo di aver sentito Anastasia dire qualche volta che il tè è un buon rimedio per tutto. Probabilmente anche Grace deve vederla allo stesso modo. Mi fissa per qualche secondo, mentre le lacrime offuscano ancora di più i suoi bellissimi occhi. All’improvviso scoppia in un nuovo scroscio di pianto, singhiozzando mentre tenta di asciugarsi alla meglio con il dorso delle mani. La raggiungo immediatamente, inginocchiandomi dinnanzi a lei e stringendola, lasciando che si sfoghi sulla mia camicia di lino bianco.
«Oh, Christian…» la sento mugolare, il suono attutito dalla stoffa. «Non ci riesco…non riesco a darmi pace per quello che ti è capitato. Dopo tutto ciò che avevi passato, dopo….dopo tua madre…»
I singhiozzi si fanno più convulsi e la mia stretta su di lei aumenta.
«Shh…mamma, ti prego…calmati» le dico, accarezzandole i capelli.
Il dolore che le sto causando mi stringe un nodo in gola. Quasi mi manca il respiro mentre tengo stretta quello scricciolo di donna così forte di solito, eppure, grazie a me, tanto fragile in questo momento.
«Io…io ho bisogno di sapere cosa ti ha fatto quella strega…Christian…io devo saperlo..»
Il suono delle sue parole è straziante. ‘Non posso dirtelo, mamma. Non posso raccontarti l’abisso della mia perversione. Mia e di Elena. Non riesco, non posso’. Eppure so che qualcosa devo dirle. Qualcosa che la faccia smettere di pensare al peggio. Che la faccia calmare. La guardo e annuisco, alzandomi da terra e facendo alzare anche lei.
«Ora calmati, mamma. Prometto che risponderò alle tue domande. Ma calmati, per l’amor del cielo» le dico con un mezzo sorriso rassicurante.
Annuisce anche lei e la stringo forte contro il petto. Sento il suo sospiro e il suo corpo si rilassa contro il mio. Probabilmente ci vorranno molti momenti del genere per riuscire finalmente ad accettare questo nuovo legame.
«Ti spiace se usciamo a fare due passi?» le chiedo scostandola di poco dal mio corpo e asciugandole le ultime lacrime dal viso.
Annuisce ancora, restando in silenzio. La prendo per mano e la conduco fuori, passando per la portafinestra che affaccia sulla veranda. Il cielo si sta facendo sempre più buio e respiro l’aria fresca della sera a pieni polmoni, camminando a piccoli passi mano nella mano con mia madre. Restiamo in silenzio per minuti, fianco a fianco, cercando di tenere sotto controllo l’ansia, la rabbia e tutto il miscuglio di emozioni che ci anima entrambi. Arriviamo sino alla rimessa per le barche e ci fermiamo sul piccolo pontile a guardare l’acqua del lago illuminata dalla tenue luce di una pallida luna. Non ho il coraggio di proferire parola. Davanti a questa donna mi sgretolo, divento nuovamente bambino e la mia paura di non essere abbastanza per lei mi attanaglia lo stomaco, scavando una profonda voragine dentro di me.
«Com’è successo, Christian? Io…non so darmi pace per questo» mormora Grace.
La sua voce è un flebile sussurro. Non mi guarda, i suoi occhi sono fissi sulla superficie dell’acqua. Sospiro amareggiato, soppesando le parole che mi girano in testa. Non posso dirle tutto, ovviamente. Ma, in un certo senso, ha il diritto di sapere. Resto in silenzio per non so quanto tempo. Lei non mi fa pressioni, mi lascia il mio tempo, cosciente che ho bisogno di elaborare prima di parlare. In un certo senso è abituata ai miei silenzi. Quando mi decido, finalmente, faccio un profondo sospiro e abbasso la testa.
«E’ successo quando avevo 15 anni. Quell’estate in cui sono andato a lavorare a casa dei Lincoln. Non l’avevamo programmato, ovviamente. E’ solo…successo» le dico, sapendo bene di mentire.
Io non l’avevo programmato, ma lei sì. Lei aveva programmato tutto, da tempo. Mia madre stringe forte gli occhi e fa per parlare, ma io le faccio segno di non farlo. Voglio raccontarle tutto quello che deve sapere. Tutto d’un fiato, altrimenti va a finire che non lo faccio più.
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Cinquanta sfumature di Mr Grey – Capitolo 51
Sono pronto da un pezzo. In camera mi sono rigirato tra le mani quell’anello, prima di riporlo al sicuro nella tasca della mia giacca. La amo, voglio che sia mia. Per sempre. Ma questa sera l’agitazione è troppa per entrambi.
Ava non ama stare al Maniero. E io non amo che altri uomini la guardino.
Fisso le scale con insistenza, ma di lei ancora nessuna traccia. Così decido di salire a vedere come vanno le cose. Arrivo davanti alla porta della camera dove si sta cambiando, deglutendo. Non entrare mi costa fatica. Ma non voglio rovinare il momento e non voglio farla incazzare. Busso cauto alla porta e, all’interno, i rumori sommessi cessano all’improvviso.
«Ava? Piccola, dobbiamo andare» mormoro.
Silenzio, poi la sua voce stranamente stridula.
«Due minuti» dice.
Sospiro e torno di sotto a misurare con i miei passi l’intero perimetro della stanza. Per smorzare la tensione metto su un po’ di musica. Nights in White Satin, dei Moody Blues. Mi aggiusto l’abito nero e la cravatta e riprendo a camminare lentamente, con le mani infilate nelle tasche, osservandomi le scarpe ad ogni passo. Gesù, l’attesa mi sta uccidendo. E il nervosismo. E…cazzo, voglio sposarla. I pensieri mi si aggrovigliano nella testa e mi mordicchio le labbra fino a quando non sento un paio di occhi puntati su di me. Sollevo lo sguardo verso le scale e….cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo, fottutissimo cazzo.
Il mio cuore smette di battere, immobile come ogni muscolo del mio corpo.
«Oh, dio» mormoro, mentre inizia a scendere le scale reggendosi al corrimano.
Ava è letteralmente mozzafiato. Il suo sinuoso corpo è avvolto da metri di pizzo nero. Percorro la sua figura per intero prima di tornare a guardarla negli occhi. Ora il mio cuore corre impazzito per l’intensità dei miei sentimenti per lei. Mi avvicino lentamente alle scale, e lei si ferma, senza smettere di fissarmi. I suoi occhi mi dicono che è nervosa come me. Ma io forse lo sono di più. Sono senza fiato e ho paura che le ginocchia mi cedano. Il cuore mi fa male, malissimo per quanto la amo.
Avanzo, raggiungendola a metà scala, dove si è bloccata. Le porgo la mano, senza poter evitare il largo sorriso di sollievo e di pura gioia che mi si apre sul viso. Ava inala a fondo e sospira forte. Poi afferra l’abito con l’altra mano e si lascia condurre di sotto. Quando raggiungiamo il salotto, la guardo di nuovo, letteralmente in estasi. Le lascio la mano facendo un piccolo giro attorno a lei, che chiude gli occhi in attesa. Davanti è interamente ricoperta di pizzo, anche sulle piccole maniche ad aletta. Dietro, invece, gran parte della sua splendida schiena è nuda e il contrasto con la stoffa che le scivola sui fianchi è da mozzare il respiro. Prendo aria, incapace di proferire parola. Poi allungo le dita, sfiorandole la nuca. Lentamente scendo lungo la sua spina dorsale, accarezzando quella pelle che oramai mi appartiene. La sento fremere e sorrido compiaciuto. Quando raggiungo la base della schiena mi blocco e mi sporgo per baciarla lì, sulla pelle esposta. Ava, finalmente, si rilassa contro le mie labbra. Piano, senza staccarle gli occhi di dosso, torno a girarle intorno, piazzandomi di fronte a lei. I nostri occhi si incontrano.
«Non riesco a respirare» mormoro piano, poggiandole le mani sulla vita e avvicinandola a me per baciarla.
Le sfioro le labbra delicatamente, come se avessi paura di scheggiarle. Sento buona parte della sua tensione abbandonarla. Mi scosto dalle sue labbra e premo i fianchi contro il suo ventre, mostrandole gli effetti fisici che il suo abito mi hanno provocato.
«Mi piace molto il tuo vestito» le dico sorridendo. «Non lo hai provato, me lo sarei ricordato» sussurro.
«Sempre in pizzo» dice, ripetendo le mie parole.
Torno a guardarla, emozionato al pensiero che abbia avuto questa attenzione per me, per il suo desiderio di sorprendermi.
«Hai scelto quest’abito per me?» chiedo dolcemente.
Annuisce e faccio un passo indietro, mettendo le mani in tasca. Mi mordicchio il labbro inferiore. Vuole compiacermi e, ovviamente, ci riesce sempre nel migliore dei modi. Le faccio un cenno di approvazione con la testa, risalendo lungo il suo corpo fino a tornare a guardarla.
Il grosso diamante nella mia tasca mi sfila tra le dita. Lo afferro e lo tiro fuori.
«Come io ho scelto questo per te?» le chiedo, mostrandoglielo.
I suoi occhi si spalancano e poi tornano a guardare i miei.
«Jesse, quella collana costa sessantamila sterline!»dice e per poco non si strozza con la saliva.
Torna a guardare il diamante, poi me, poi il diamante, poi di nuovo me. Le faccio un sorriso e mi sposto dietro di lei per infilarle la collana. Improvvisamente Ava prende a tremare. Chiugo il gancio e le bacio piano la nuca.
«Ti piace?» le sussurro all’orecchio.
«Lo sai, ma…» si blocca, toccando il diamante con le dita. «Te l’ha detto Zoe?» chiede, nel panico.
La rassicuro.
«No, ho chiesto io a Zoe di mostrartela»
La faccio voltare e la prendo tra le braccia, facendo scorrere un dito sulla sua collana.
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Il Lord del Maniero – Capitolo 58 (prima parte)

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