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CAPITOLO 23

ALEX

Maya mi saluta da lontano e io affretto i passi per raggiungerla. Oggi è ancora più bella del solito. Ha i capelli raccolti in una coda alta e un leggero strato di trucco, che le valorizza l’incarnato.

«Dove mi porti di bello?» mi domanda, dopo avermi accolto con un bacio a fior di labbra.

«So che non è molto originale, ma che ne dici di fare un giro al Castello Sforzesco?»

Lei batte le mani entusiasta.

«Sì, mi piace. Adoro l’atmosfera che si respira lì; mi sembra di essere una principessa. E tu sei il mio principe, vero?» ride e mi cinge le braccia intorno al collo.

«Sono quello che vuoi tu» rispondo, accarezzandole la schiena. Con il palmo della mano seguo la curva della sua colonna vertebrale. Nonostante la barriera dei vestiti, riesco lo stesso a percepire la morbidezza della sua pelle.

«Alex…»

«Sì?»

«Hai intenzione di stare fermo qui tutto il pomeriggio?» mi chiede Maya divertita.

Le sue parole mi risvegliano dallo stato di trance in cui sono caduto. Scuoto la testa e mi stacco da lei.

«Scusami» rispondo impacciato.

«Figurati! Non è che mi dispiaccia stare qui. Era solo per sapere» dice lei, dandomi un bacio dolce dolce, che mi fa sciogliere tutto.

«Andiamo» continua poi, prendendomi per mano e trascinandomi lungo il corridoio.

Ecco uno dei motivi per cui adoro la compagnia di Maya: è sempre così spontanea e allegra; con il suo modo di fare, riesce a regalarmi sprazzi di felicità e ad alleggerire il peso dei miei pensieri.

Sulla metropolitana troviamo un unico posto libero. Corro per sedermi e Maya mi guarda in modo strano. Che sciocchina! Pensa davvero che voglia lasciarla in piedi?

«Vieni» le dico spalancando le braccia. Maya diventa rossa fino alla radice dei capelli e si guarda intorno, come se ci fosse qualcuno che conosce pronto a giudicarla. Alla fine si siede sulle mie ginocchia e per alcuni secondi, ancora imbarazzata, affonda la testa nella mia felpa.

«Maya, guardami in faccia» le dico, bussandole sulla schiena.

Lei alza la testa giusto il necessario per permettermi di fissarla negli occhi. Cerco di regalarle il sorriso più rassicurante che mi riesca.

«Perché fai così? Non hai motivo di vergognarti. Io e te ci vogliamo bene, giusto?»

«Sì, certo» risponde lei ringalluzzita.

«E allora non abbiamo motivo di nasconderci.»

Così me la stringo forte al petto e sento il ritmo del suo cuore che batte con lo stesso identico ritmo del mio.

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