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CAPITOLO 24

ALEX

Controllo lo zaino da viaggio per l’ennesima volta. Sembra che non manchi nulla. Lo metto sulle spalle e vado verso la porta. Luisa mi chiama e la raggiungo un attimo nella stanza di mia mamma.

«Lo hai sentito?»

«Sì, purtroppo. Ha detto che è sul treno e tra venti minuti sarà qui.»

«Senti, Alex. Hai sbagliato a rivolgerti a lui. Avrei potuto benissimo fare da sola» mi dice lei con un sorriso triste.

«Non sarebbe stato giusto. Hai diritto a riposarti anche tu. E poi lei è ancora affar suo. È un tale vigliacco che non ha nemmeno chiesto la separazione.»

Luisa si fa il segno della croce e mi guarda sorpresa.

«Ragazzo mio, non parlare così di tuo padre, che è peccato. Sarà quel che è, ma è stato lui a metterti al mondo.»

«Non mi sento in colpa. Sai come la penso. Non basta inseminare una donna per essere un buon padre. Certo, da piccolo era il mio eroe, il mio idolo. Solo che ormai ha perso il mio rispetto, da quando ci ha abbandonato nel momento del bisogno.»

Luisa non ribatte più niente. Mi dà solo un bacio sulla guancia e io saluto lei e mia mamma, persa come sempre nel suo torpore, con un piccolo cenno del capo .

Quando arrivo alla fermata, vedo l’autobus che s’allontana sulla via. Cazzo! Questa non ci voleva… I mezzi a quest’ora non sono molto frequenti, spero di fare in tempo. Così mi siedo sulla panchina e cerco di mandar via l’ansia che mi ha avvolto la mente. Quando finalmente riesco a salire sull’autobus, sono riuscito a orientare i pensieri nella giusta direzione.

Quel coglione non conta più un cazzo nella mia vita. Adesso devo pensare solo a godermi questi giorni insieme ai miei compagni e a Maya… Sì, voglio che sia una delle più belle esperienze della mia vita.

Scendo dalla fermata e appena volto l’angolo, vedo il grande pullman a due piani che ci condurrà in gita. Cammino a passi rapidi tra la bolgia dei miei compagni, quando sento una mano chiusa a pugno che mi bussa sulla schiena.

«Alex, grazie al cielo sei arrivato. Stavo cominciando a preoccuparmi.»

«Non ti sembra di esagerare? Sono in anticipo di dieci minuti sulla tabella di marcia.»

Mi volto e specchiarmi negli occhi marroni di Maya mi provoca un tuffo al cuore, ma non uno di quelli semplici, come il tuffo a bomba che fanno i bambini quando si gettano in piscina urlando Geronimo; no! Quello che sento dentro di me è un tuffo carpiato con doppio avvitamento, uno di quelli da medaglia olimpica. Lei, invece, non ricambia per nulla la dolcezza dei miei occhi. Ha le mani sui fianchi e il viso imbronciato.

«E ora che ti prende? Ho detto qualcosa di sbagliato?» le domando perplesso.

«Io sono arrivata quaranta minuti fa e tu solo adesso. Sembra che non t’importi nulla di venire in gita con me. Lo sai o non lo sai che io sono qui solo per stare con te? I miei hanno una casa a Lido di Classe e tutte le estati mi portano a Ravenna a fare il giro dei monumenti. Li conosco a memoria.»

Scuoto la testa. Dovrei essere io quello arrabbiato. Per amor suo, ho chiesto aiuto a quello stronzo di mio padre e lei osa dirmi che non ci tengo a stare con lei? Ogni tanto sembra una bambina capricciosa. Si meriterebbe di essere ripagata della stessa moneta, ma mentre cerco le parole giuste per risponderle, mi soffermo su quelle labbra chiuse, che aspettano solo di essere baciate, e su quei fianchi che formano una curva su cui mi vorrei adagiare e mi dimentico ogni proposito vendicativo.

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