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CAPITOLO 8

ALEX

Che mi prende? Perché l’ho invitata a bere un caffè? Mi sento sempre più confuso. Mi ero ripromesso di aiutarla solo nello studio e invece, quando lei mi ha detto che voleva andarsene, ho sentito il bisogno di prolungare ancora questo pomeriggio insieme.

Camminiamo vicini e ne approfitto per studiare Maya dall’alto del mio metro e ottanta. Mentre avanziamo, cerco di catturare con lo sguardo ogni centimetro di lei: i capelli lunghi e castani, la carnagione chiara, quasi di porcellana, su cui gli occhi color nocciola vibrano di luce propria. Noto il fisico asciutto ma non magrissimo, modellato da ore e ore di allenamento. E poi mi lascio incantare dal modo in cui parla, in cui mi racconta i suoi sogni.

«Sai che studiare insieme mi ha aperto un mondo? Forse ho sbagliato a prendere sottogamba l’Italiano. Se la prendi per il verso giusto, anche la Letteratura ha il suo perché» mi confessa e io non riesco a togliermi dalla bocca il sorriso compiaciuto di chi ha vinto una dura battaglia.

«Molto bene, considerando il posto dove ho intenzione di portarti.»

Lei tira su la testa e mi lancia uno sguardo pieno di interrogativi, ma io non ho nessuna intenzione di sbilanciarmi. Così torniamo a camminare in silenzio, mentre passiamo per Piazza Fontana e ci avviamo nei pressi della Statale.

Arrivati davanti alla Ca’ Granda, Maya si guarda in giro preoccupata.

«Non vorrai costringermi a entrare in qualche biblioteca universitaria per studiare ancora, per oggi ho dato abbastanza…» commenta con la vocina strozzata dalla paura e io mi metto a ridere.

«No, non sono così bastardo. Volevo solo prenderti un po’ in giro. Stai serena. L’Uni è di qua e noi andiamo dalla parte opposta.»

Lei ritrova il sorriso e mi segue. Arriviamo davanti a una caffetteria americana e da bravo gentiluomo le apro la porta per farla entrare. Salutiamo la proprietaria e cerchiamo un tavolino tranquillo.

Prendiamo il menu dal tavolo e lo studiamo con attenzione. Quando lo mettiamo giù, la cameriera passa a prendere le ordinazioni.

«Io voglio un cappuccino e una fetta di cheesecake. E tu?» mi domanda Maya.

«Io solo un caffè lungo.»

«Non ti farai problemi solo perché sono io a offrire. Guarda che me lo posso permettere. Mia mamma mi ha appena dato la mancia settimanale.»

«Ma no, figurati. È solo che non ho molto appetito.»

«Beato te. Dopo tutto questo studio, mi è venuta una fame da lupi.»

La cameriera torna con il vassoio pieno, in cui campeggia un cappuccino stracolmo di panna. Maya le porge la quota dovuta e poi affonda il cucchiaio nel bicchiere e manda giù la panna con aria soddisfatta.

«Ma un’atleta come te non dovrebbe avere una dieta più sana?» provo a punzecchiarla.

«Certo, io non esagero mai. Però oggi è domenica e posso fare uno strappo alla regola. E poi questa panna è buonissima. Assaggia…»

Senza che io possa oppormi, prova a imboccarmi. La panna mi sporca il naso e Maya mi ride in faccia. Invece di arrabbiarmi, comincio a ridere anch’io e così ci ritroviamo a scherzare e a dividere cappuccino e cheesecake come amici di vecchia data.

Maya è fortissima. Quando inizia a fare l’imitazione della Vergani, io mi devo tenere la pancia per il troppo ridere. Lo devo ammettere. Mi piace stare con lei, condividere pensieri e sogni. A scuola si lascia andare solo con poche amiche fidate, tanto che alcuni compagni pensano che se la tiri. E invece io ho sempre avuto il sospetto che fosse tutta una montatura. Lei è solo molto concentrata sul suo obiettivo sportivo, investe tutte le sue energie per diventare una campionessa. E non posso darle torto. La sua è una disciplina sportiva a tempo, rimandare significa perdere l’opportunità di una vita. Nel mio caso non c’è tutta questa fretta, eppure la sua determinazione mi è di grande esempio. Dovrei imparare da lei, abbandonare le paure e cercare il modo giusto di vivere la mia passione…

«Speriamo che domani la Vergani sia clemente, almeno mia mamma smetterà di rompere» dice Maya, dando un freno ai miei pensieri.

«Non dovresti parlare così di tua madre, Maya. Lei vuole solo proteggerti» provo a spiegarle, ma lei scuote la testa e insiste.

«Dite tutti così, però se lei avesse davvero a cuore la mia felicità, non mi metterebbe i bastoni tra le ruote tutte le volte. La tua com’è?»

La sua domanda mi lascia spiazzato. Non so bene che cosa rispondere.

«È una persona molto sensibile e io le voglio molto bene» le dico senza sbilanciarmi.

Maya mi fa segno con il dito di avvicinarmi a lei. Ci ritroviamo con le teste quasi attaccate e la visione dei suoi occhi color nocciola a un passo da me mi provoca un’emozione inaspettata. Qualcosa che parte dal cervello, scende giù fino al cavallo dei pantaloni e poi ritorna su per piazzarsi al centro del cuore.

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