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Capitolo 15 




Amiamoci


una volta sola






“Io so chi sei, ho camminato con te una volta in un sogno


Io so chi sei, il luccichio nei tuoi occhi è così familiare, un bagliore


E so che è vero che le visioni sono raramente ciò che sembrano


Ma se ti conosco, so cosa farai


Mi amerai una volta sola, come hai fatto una volta in un sogno”


~ Once up a dream (La bella Addormentata nel bosco)






Travor


“Una volta sola”, mi ero detto. Mi ero ripromesso che avrei guardato quei video ancora una volta, poi li avrei eliminati.


La prima dose che mi feci fu nel cuore della notte, ero sgattaiolato via dal letto, come un amante soddisfatto, perché sentivo l’esigenza di allontanarmi da Tess. Quando avevo accettato di dividere il letto con lei non ne ero convinto, ma mai mi sarei aspettato di dover letteralmente scappare. 


Mi ero svegliato per caso, ero sudato, mi era servito qualche minuto per accorgermi che ero avvinghiato a Teresa come se fosse un morbido cuscino, ma un secondo per sentire premere la mia erezione contro la stoffa dei pantaloni e per allontanarmi da lei.


Ero sceso al piano di sotto, senza concedermi di darle un’ulteriore occhiata, avevo preso il computer come gesto automatico, ed una volta sul divano lo avevo acceso, per poi aprire la cartella contenete quei video.


«Una volta sola» avevo mormorato mettendo in play uno dei tanti filmati.


Con l’audio al minimo, appollaiato sul mio divano, e protetto dall’oscurità della stanza, guardavo strascichi di quel vecchio me, che in apparenza era il principe azzurro ma che poi si sarebbe rivelato la bestia.


Mi ero ritrovato ad estraniarmi da me stesso, osservando lo schermo del computer come se stessi guardando un film. Non ero più in grado di riconoscere quel ragazzo con il sorriso in volto e gli occhi felici. Ma allo stesso tempo non mi rivedevo nemmeno nel mostro che ero diventato.


Era da così tanto tempo che vivevo la mia vita da spettatore e non da protagonista, che ormai non sapevo nemmeno più chi fossi. Ero la comparsa nella mia stessa esistenza.


L’arrivo di Teresa nella mia vita mi aveva fatto dimenticare per un attimo la mia precaria esistenza. Mi ero illuso che la sua presenza avesse cancellato quello che Claire era per me. Avevo fatto finta di niente quando il richiamo della mia dose aveva gridato a gran voce, ma alla fine ci ero ricaduto lo stesso.


Alla seconda dose cedetti qualche ora più tardi. Il mio corpo non ne voleva sapere di spegnersi, il divano era più scomodo di quanto ricordassi, e il sapere che Tess dormiva con indosso solo una maglietta a pochi metri da me non mi aiutava a rilassarmi.


Avevo acceso nuovamente il PC, combattuto e confuso tra il desiderio che avevo provato per Claire e quella nuova brama che iniziavo a sentire per Teresa. La mia testa e il mio cuore appartenevano ancora alla prima, ma non potevo più negare che il mio corpo iniziasse a reagire a quella nuova presenza femminile.


Mi concessi la seconda dose per infliggermi dolore. Non volevo provare desiderio per Tess, non era giusto nei suoi confronti, lei si fidava di me, della mia amicizia, e per la seconda volta stavo tradendo la fiducia di una donna. 


Rabbia e dolore erano un mix catastrofico, che si stavano mescolando al mio sangue, e quando tra le foto mi ritrovai quella di Claire in abito da sposa l’ira prese il sopravvento.


Con una manata feci cadere il computer sul pavimento, il rumore fu assordante, ma non mi importò nemmeno di svegliare Tess. Mi alzai dal divano e passai irrefrenabile le mani tra i capelli per poi tirarli fino a sentire dolore. Avevo il fiato corto e il respiro accelerato, le mani mi tremavano e le gambe andavano avanti e indietro nel salotto.


«Stupido! Stupido! Stupido!» mi schernii colpendomi le tempie con i pugni.


Come potevo aiutare Teresa quando a mia volta avevo qualcosa che non andava?


Ero patetico nel crogiolarmi per qualcosa che avevo rovinato con le mie stesse mani.


Raggiunsi il sacco da box ed iniziai a colpirlo, solo il dolore alle nocche e la sensazione della mia pelle che si lacerava riuscì a calmarmi. Continuai a colpire inarrestabile, mentre gocce di sudore mi colavano dalla fronte e gocce di sangue dalle mani. Più soffrivo e mi recavo dolore, più stavo meglio.


Colpii, colpii e ancora colpii il saccone ripetendomi che quel colpo sarebbe stato l’ultimo. Ma non mi bastava mai. Il dolore era diventato la mia macchina di sfogo e quel giorno era un giorno no. Era un po’ che non mi succedeva, mi ero quasi illuso di essere andato avanti. Ma è complicato rimettere insieme i pezzi di qualcosa che si è rotto, ed ancor di più, di qualcosa che era andato in frantumi da tempo. Ero disgustato da me stesso e nulla sarebbe stato in grado di farmi cambiare idea.


«Travor?», una voce calda quanto il tocco che sentii sulla spalla mi fece sobbalzare e voltare di scatto.
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