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Capitolo 17 






Non scappare


“Correrei a salvarti, a dirti che così non può durare


Correrei a parlarti, a consolarti niente più dolore


Correrei a fermare il tempo e insieme a lui le sue torture


Correrei da te e ti stringerei senza scappare mai più”


~ Tiziano Ferro (Senza scappare mai più)


Travor


«Scapperai di nuovo?», osservai la nuca di Tess, era posata sul mio petto e avevo pensato che si fosse addormentata.


Le accarezzai i capelli, più in un gesto istintivo che calcolato, erano morbidi malgrado fossero tutti scompigliati. Le mie stesse mani li avevano incasinati, disfacendo la sua perfetta coda, per intrecciare le dita sulla suo capo.


«No», le parole mi uscirono di getto, ancor prima di averle realizzate. 


Non sarei scappato di nuovo, non avrei permesso ai miei sensi di colpa di rovinare questo… non sapevo nemmeno io di cosa si trattasse, sapevo bene però, che le quasi due settimane che avevo trascorso ad evitarla erano state le peggiori da quando la conoscevo. Mi erano mancati quei semplici gesti che ormai erano diventati parte della nostra quotidianità: come cucinare il pranzo insieme, mentre tentavo di insegnarle le basi; guardare un film e discutere almeno una mezzora su quale scegliere, poi avere la voglia di scuoterla e svegliarla quando si addormentava dopo avergliela data vinta, ma ritrovarmi ad osservarla mentre dormiva; sentirla urlare la mattina, quando entrava in bagno e trovava un disastro sul pavimento, oppure quando si lamentava per la biancheria che lasciavo in giro. 


Sollevò il capo, fino a incrociare il mio sguardo. «Sei uno stronzo».


Le labbra mi si incurvarono in un sorriso. «Mai detto il contrario» ammisi, la guardai negli occhi, serio, per cercare di farle capire quanto fosse vera quell’affermazione. Ero il Re degli stronzi!


Tra noi passò un lungo silenzio, nel quale non smettemmo di guardarci nemmeno per un secondo.


«Promettimi che domani non tornerai a ignorarmi», mi stava supplicando con lo sguardo e sentii una morsa allo stomaco per averla fatta stare male.


La strinsi tra le braccia e posai le labbra sulla sua fronte. «Non riuscirei a ignorarti nemmeno se volessi».


«È per Claire?», mi irrigidii al suono di quel nome.


Si mosse nella mia stretta, sciogliendo l’abbraccio, si tirò un po’ più in su in modo che il mio viso fosse di fronte al suo. I miei occhi scesero senza chiedere il permesso su i suoi seni, seni perfetti e sodi che avevo assaggiato e strizzato solo poco tempo prima. Mi leccai le labbra al ricordo, il suo schiarirsi la gola mi riportò a guardarla negli occhi. 


«È complicato». Cosa potevo dirle, che i segni che le avevo lasciato sulla pelle mi avevano fatto ricordare il mostro che evidentemente non avevo smesso di essere? 


Non potevo dirle la verità, non volevo, non ero pronto a scoprire la sua reazione, non mi avrebbe più guardato allo stesso modo, non mi avrebbe più permesso di toccarla. Si sarebbe resa conto della bestia che ero, se ne sarebbe andata, io sarei tornato a limitarmi ad esistere invece che a vivere. Perché si, lei era vita, senza rendermene conto grazie a lei ero tornato a respirare regolarmente, e dopo aver provato quella sensazione, una boccata d’aria fresca nello smog della mia anima, dopo aver riempito i polmoni d’ossigeno, non volevo farne a meno, non potevo.


«È per lei che, quella sera, prendevi a pugni il sacco da box?», insistette.


Guardai di fronte a me e annuii, almeno questo potevo concederglielo.


«Perché?».


«Te l’ho già detto, è l’unico modo che conosco».


«Perché punirti?».


Il suo interrogatorio mi stava facendo venire il mal di testa, oltre che al mal di stomaco. 


«Tess», la guardai, cercando di farle capire che doveva smetterla.


«È un modo sbagliato», racchiuse il mio volto nella sua mano e si allungò per baciarmi.


«Anche questo» soffiai contro la sua bocca.


«Lo so» mormorò per poi leccarmi le labbra. «Ma questo è migliore», premette il suo corpo nudo contro al mio.


«Ma altrettanto autodistruttivo» mi lasciai sfuggire. Per chi dei due non ne ero ancora sicuro, forse lo sarebbe stato per entrambi… 


«Dalla distruzione si può sempre risorgere» ansimò, mentre si metteva a cavalcioni sul mio corpo e strusciava il suo sesso contro al mio.


«E se non ne fossi in grado?».


«Ti aiuterò a rimettere insieme i pezzi, e tu aiuterai me». Un gemito squarciò il petto di entrambi mentre lentamente mi permetteva di farmi strada dentro di lei.


Come si può aggiustare qualcosa di rotto quando a nostra volta siamo in frantumi? Non ne ero sicuro, ma mentre mi perdevo nei suoi occhi fiordaliso, e nel suo corpo, ero certo che fosse possibile. Ma ero altrettanto sicuro, che come saremmo stati in grado di sistemare i pezzi, saremmo stati in grado anche di distruggerli una seconda volta.
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