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Capitolo 21




In to the storm






Quia ventum seminabunt


et turbinem metent*


~ Libro del profeta Osea (versetto 8,7)






*«E poiché hanno seminato vento, raccoglieranno tempesta»










Travor






Pessima, pessima idea…


Serrai la presa sul manubrio della mia Harley cercando di mantenerne il controllo. Avevo il casco appannato a causa delle gocce di pioggia che lo avevano ricoperto. La moto andava a una velocità contenuta e per me stava diventando frustrante non poter sfrecciare sull’asfalto, sentire l’adrenalina che scorre nelle vene, avere qualcosa con cui sfogarmi che non fosse colpire con i miei pugni qualcosa o scoparmi Teresa.


Avrei dovuto chiamare un taxi, pensai, mentre prendevo al meglio un’ennesima curva per evitare di schiantarmi a causa dell’asfalto bagnato, ma ero troppo perso nei miei pensieri per accorgermi che il cielo era pronto a versare la sua ira su noi comuni mortali. Per fortuna arrivai a lavoro sano e salvo, e con dieci minuti di anticipo, mi fece notare George. 


«Come va?».


Invece che rispondere al mio migliore amico mi limitai a grugnire e gettare la tracolla sulla scrivania. Mi tolsi la giacca e cercai di ricompormi visto che assomigliavo, con ogni probabilità, a un fottuto pulcino bagnato.


«Tempo del cazzo», borbottai.


«Sembra direttamente proporzionale al tuo umore».


Lanciai un’occhiataccia a Jex, che alzò le mani in segno di resa e non aprì più bocca per il resto della mattinata. Riprovò un approccio solo dopo mezzogiorno, mentre cercavo di bermi un caffè in pace, nella saletta per i dipendenti. 


«Cos’è successo?».


Continuai a girare lo zucchero nel bicchierino di carta, prima in senso orario, poi in senso antiorario…


«Trav?».


Distolsi lo sguardo dal caffè e gli diedi la mia attenzione.


«Non è successo nulla, è solo una giornata no». Lo liquidai così, buttai giù il contenuto del mio bicchiere bruciandomi la lingua e poi tornai a lavoro.


In fin dei conti non era accaduto nulla di rilevante, oltre al fatto che avevo capito di provare qualcosa per Teresa. Come avevo detto… niente di che.


Per cercare di sopprimere i miei pensieri misi anima e corpo nel progetto a cui stavo lavorando concentrandomi sul computer e non su altro. Avevo avuto tutta la domenica per comportarmi da ragazzina e rimuginare sui miei sentimenti. Blah, solo pensare a quella parola mi faceva venire l’orticaria. 


Una notifica del cellulare catturò la mia attenzione. Lo recuperai dalla tasca della giacca e aprii il messaggio. 






Tess: X che ora rientri? Pensavo di ordinare cinese.






Con un singolo e futile messaggio era stata in grado di mandare in fumo ogni mio sforzo. Lo stomaco balzò al petto e lì il cuore saltò alla gola come la pallina di un flipper.


Sospirai quasi fossi ormai rassegnato a quelle mie ineluttabili reazioni.


Controllai l’orario, ormai mancava poco al rientro, il lavoro era praticamente terminato…






Trav: Credo che farò un po’ tardi, ho ancora del lavoro da fare.


Ordina pure per te.






La sua risposta non ci mise molto ad arrivare.


Tess: Nemmeno per una porzione di wanton tutta tua? 


Ti giuro che questa volta non ti ruberò l’ultimo 🙁






Sorrisi e poi iniziai a sentirmi in colpa. Quello che provavo per lei e come mi faceva sentire era solo un problema mio e non dovevo far ricadere quel peso su di lei.






Trav: Solo se ci aggiungi anche una porzione di involtini primavera.






Tess: Andata 🙂
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