Basta uno sguardo
“Basta uno sguardo
dice di più di un discorso che fai
tu parli e io ti sto toccando
la gente intorno sparisce
poi tra noi
che tu vuoi o non vuoi
è successo tutto ormai”
~ Nek (Basta uno sguardo)
Travor
«Grazie?».
Annuii giocherellando con la spessa fascia in argento che portavo al medio.
«Quindi, tu le hai detto che la ami e lei ti ha risposto grazie?».
Tirai indietro la sedia che stridette sul parquet dello Starbucks. Perché cazzo avevo deciso di parlargliene?!
«Ehi, frena!», mi afferrò per il braccio, bloccando la mia fuga ancor prima che riuscissi ad alzarmi.
Mi guardai attorno, accertandomi di non aver catturato sguardi indagatori su di noi. Nonostante ci trovassimo appartanti in un angolo vicino alla vetrata, l’essere umano è programmato per non farsi i cazzi suoi.
«Si, dannazione! Te l’ho già detto tre volte!», mi alterai, stringendo i denti ma tenendo il tono della voce basso.
Portai alle labbra il mio caffè nero, ne gustai il sapore forte e amaro e involontariamente pensai alle volte che ero andato in quello stesso locale con Tess; al suo Frappuccino, alla smorfia che aveva fatto quando le avevo fatto assaggiare la mia bibita e la mia schifata quando avevo bevuto un sorso di quella bevanda dolciastra che sapeva di caramello.
Alzò le spalle. «Analizziamo i fatti, tu gliel’hai detto appena dopo essere venuto, non conta. Avrà pensato che l’hai fatto solo perché preso dall’appagamento sessuale, che altro avrebbe dovuto dire? Okay sarebbe stato peggio», non riuscì a trattenere un piccolo ghigno.
Inarcai un sopracciglio. «Ti stai divertendo? Perché potrei infilarti in gola questo bicchiere», agitai la mia tazza di cartone quasi vuota.
«I “ti amo” post coito non contano» ribadì.
Mi appoggiai allo schienale in legno della sedia sbuffando.
«Beh, mi evita da quattro giorni, quindi dillo a lei che non contano».
Jex bevve un sorso del suo caffè prima di replicare. «È lei che ti evita, o sei tu a evitare lei?».
Feci una mezza smorfia conscio di non essere del tutto innocente.
«Di solito nei week-end veniamo a fare colazione qui, questa mattina ho trovato un post-it con il quale mi informava che andava a casa di suo padre. Non mi ha detto nulla, se n’è andata e basta».
«Tu gli hai detto che avresti fatto colazione con me? Perché mi risulta che me lo hai chiesto due sere fa».
Jex 2
Travor 0
«Ma tu da che parte stai?», mi resi conto del mio tono infantile nello stesso istante in cui mi uscirono le parole di bocca.
Il mio migliore amico iniziò a ridacchiare. «Sai, sembri la mia sorellina quando gli faccio notare che è lei a sbagliare».
Sbuffai, per quella che sarà stata la ventesima volta.
«Parlale» disse facendosi serio, «Se è quello che provi devi dirglielo, ma questa volta evita di farlo dopo l’orgasmo».
Osservai le crepe che rigavano il tavolino in legno. «Non so perché gliel’ho detto».
«Perché è quello che senti».
Scossi la testa e una ciocca ribelle di capelli andò a coprirmi un occhio. «Non ha importanza».
«Travor…».
«Lascia stare, okay?», lo supplicai con lo sguardo.
Jex poteva avere ragione, la risposta che Teresa aveva dato al mio “ti amo” poteva dipendere dal contesto in cui glielo avevo detto, sapevo io stesso che quelle parole uscite di bocca in un momento come quello potevano significare tutto e niente. Ma gli occhi parlano, e quelli di Tess mi avevano fatto capire che quelle mie parole, oltre a coglierla di sorpresa, l’avevano anche in qualche modo ferita e spaventata. Ammetto che l’avevo evitata, ma lei stava letteralmente fuggendo da me. Mi sembrava un circolo senza fine, quello tra noi. Quando le cose sembravano andare alla grande, riuscivamo a fare mille passi indietro, tornavamo a rifuggire la presenza l’uno dell’altra.
«Come va con Nan?».
Il suo sguardo si illuminò non appena menzionai la sua fidanzata. «Stiamo mettendo tutti noi stessi nel tentativo di fare un figlio» ghignò, e io non potei che sorridere di rimando.
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