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Capitolo 17 


“Sotto l’effetto dell’alcol l’adulto ritorna un bambino, 


che prova il piacere di pensare liberamente 


come vuole senza dover fare attenzione 


alla costrizione della logica.”


– Sigmund Freud






Claire


4 uova, 165g di zucchero, 80g di burro…


«Claire».


Alzai lo sguardo dalla ricetta ed incrociai due iridi azzurre che mi osservavano con cipiglio.


«Cosa stai facendo?».


«Preparo i cupcake» dissi ovvia pulendomi le mani sporche di farina nel grembiule ormai impasticciato.


«Alle quattro di notte?», la domanda di Jennifer passò in secondo piano non appena il timer del forno mi informò che l’infornata di cupcake era pronta. 


Recuperai il guanto da forno e tirai fuori i dolcetti dorati. Mi guardai intorno con la teglia in mano per decidere dove metterla. Ogni superficie della cucina era ricoperta da ogni genere di cupcake ricoperto di ogni genere di glassa… 


«Credo di essere un po’ sotto stress…». 


«Ah, dici?».


Jennifer incrociò le braccia al petto ed inarcò un sopracciglio. 


Guardai il disastro che avevo fatto in cucina e feci una smorfia. La mia coinquilina mi si avvicinò e, dopo aver recuperato un canovaccio, mi tolse la teglia di mano.


«Hai un problema».


«Non mi dire» borbottai sfilandomi il guanto ed il grembiule. 


Sentii il frigo chiudersi e quando guardai in quella direzione Jenny teneva in mano un bottiglia di vino bianco. 


«Ci ubriachiamo?».


Arricciai la bocca. Mi avviai verso un armadietto e ne tirai fuori una bottiglia contenente un liquido dorato.


«Prendi il sale e il lime, mi serve qualcosa di più forte».


Ci dirigemmo nel salotto con tutto l’occorrente per prenderci una bella sbronza grazie alla Tequila. Con la bottiglia in mano mi lasciai cadere di peso sul divano in pelle bianco, mi spaparanzai con la schiena contro lo schienale e lasciai ricadere la testa all’indietro osservando il soffitto.


«Ti ho svegliata?».


Jennifer prese posto vicino a me posando lime, sale e due bicchierini sopra un alto mobiletto alle spalle del divano. 


«No, in realtà non riuscivo a dormire».


Voltai il capo verso di lei e le passai la bottiglia. Non era ancora il momento di parlare, era il momento di bere…


«Puah!» sputacchiai schifata dopo aver eseguito il “lecca, bevi, succhia”.


Guardai Jenny leccare il sale dalla sua mano, buttare giù di colpo lo shot e succhiare con una smorfia il lime. Fece il mio stesso verso schifato. 


«Perché ci ostiniamo a berla se fa così schifo?», il suo nasino dritto era arricciato.


«Perché tra poco ci scorderemo del suo sapore e di tutto il resto».


Puntò il suo sguardo indagatore nel mio. «Vuoi parlarne?».


Distolsi lo sguardo. Ero piuttosto sicura che sapesse la ragione del mio stato d’animo, ero tornata a New York da soli tre giorni ed avevo già preso tre chili a forza di mangiare tutti i dolci che non smettevo di preparare. 


“Non potremmo aver la fissa per la palestra quando qualcosa ci preoccupa, invece che quella dei dolci?”, intervenne una vocina nella mia testa. 


Sospirai. «Non sono ancora abbastanza ubriaca».
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