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Capitolo 33 




“Temere l’amore è temere la vita,


e chi ha paura della vita


è già morto per tre quarti.”


– Bertrand Russell






Claire


«Ce la posso fare. Ce la posso fare. Ce la posso fare. Inspira, Espira. Inspira, Espira. Inspira, Espira. Non ce la posso fare, mi viene da vomitare!».


Io e Lydia osservavamo un tipico attacco di panico da futura sposa, solo che ad esserne affetta non ero io ma la mia damigella.


«Se non ti fossi bevuta il tuo peso in alcol, adesso non ti verrebbe da vomitare».


Jennifer lanciò un’occhiataccia a Lydia, mentre tenendosi lo stomaco inspirava ed espirava.


«Non è per quello», fece un cenno con la mano per liquidare quel pensiero, «Ho fatto sesso in un bagno! In un luogo pubblico! Con uno che conosco appena! E che diciamocelo… è pure un grande stronzo!».


Mi sedetti sul mio letto, ancora in pigiama e con i capelli bagnati avvolti in un asciugamano. Incrociai le gambe sul materasso e mi tamburellai le labbra con un dito.


«Che c’è?!» sbottò Jenny sentendosi messa sotto pressione dal mio sguardo.


«Anche io ho fatto sesso in quel bagno», le labbra mi si incurvarono in un sorrisetto al ricordo, «quindi lascia perdere che l’hai fatto in un luogo pubblico», il fatto che lo avessi fatto anche io non migliorava la situazione ma sembrò farla stare più tranquilla, «Jason è il migliore amico di Logan, quindi non è che ti sei portata a letto proprio uno sconosciuto…», stavo cercando di trovare il lato positivo di ciò che era accaduto per calmarla, «E okay, sarà pure uno stronzo… ma è un gran bello stronzo», ridacchiai, «Non hai fatto nulla di male, rilassati. Non ti devi mica sposare», inarcai un sopracciglio e a quel punto fu lei a ridere.


«Scusa, Claire», si avvicinò e mi strinse in un abbraccio, «Le crisi di nervi oggi sono solo ammesse da parte della sposa», mi accarezzò la schiena mentre era piegata su di me. 


La strizzai appena prima di lasciarla andare. «Non preoccuparti, oggi puoi averle tu per me, io sono abbastanza tranquilla». Ed era vero, l’ansia che sentivo era più che altro una sorta di elettricità che mi rizzava i peli sulle braccia, ma era dovuta più all’attesa… non vedevo l’ora di diventare la Signora Grant!


Un conato di vomito spezzò quel momento ed entrambe ci girammo di scatto verso Lydia, giusto in tempo per vederla correre fuori dalla camera per raggiungere il bagno.


«Dovrei essere io quella che vomita per l’ansia! Non voi!» gridai ma subito dopo mi alzai dal letto e raggiunsi la mia migliore amica per vedere come stesse.


Lydia era in ginocchio ed abbracciava la tazza del water. Feci una smorfia pensando a tutti i germi di cui era sommersa. Varcai la soglia e mi chinai vicino a lei, avvolsi i suoi capelli in un pungo e le accarezzai la schiena. 


«Stai bene?».


Invece che parlare si limitò a gemere e a fare cenno di si col capo. Certo, stava alla grande…


«Hai bevuto troppo ieri sera?». Glielo chiesi perché io ero troppo impegnata a farmi il mio futuro marito nel bagno di un bar per controllare quanti bicchieri si facessero le mie damigelle. 


Ma io mi chiedo, perché diavolo si festeggia l’addio al nubilato il giorno prima delle nozze?!


«No» mugolò. Prese un abbondante pezzo di carta igienica e si pulì la bocca, tirò lo sciacquone e poi si lasciò ricadere seduta sulle fredde piastrelle del bagno. 


Il suo lucido ed arrossato sguardo nocciola si intrecciò al mio. «Non ho bevuto nemmeno una goccia di alcol ieri sera» mormorò.


Ci pensai un attimo. In effetti quella che si faceva shot di tequila era Jennifer…


«Allora hai un virus, hai mangiato qualcosa che ti ha fatto male?».


Continuò a guardarmi intensamente, come se dovessi capire da sola cosa avesse.


«È incinta» soffiò una voce alle mie spalle.


Voltai il capo guardando oltre la mia spalla Jennifer, poi tornai a guardare Lydia.


«Sei incinta?» chiesi spalancando un po’ gli occhi.


Distolse lo sguardo e prese ad arricciarsi una ciocca di capelli attorno al dito. «Non ho ancora fatto nessun test, ma ho un ritardo di due settimane», mi guardò, «Io non ho mai ritardi…».


Vero, Lydia era sempre stata puntuale come un orologio svizzero con il ciclo…


Mi alzai e le porsi una mano. «Andiamo a comprarlo».


«Cosa?» chiese mentre si sollevava da terra.


«Andiamo a comprare un test di gravidanza».


Scosse energicamente la testa. «No. Oggi è il tuo giorno».


La fissai dritta negli occhi. «Non vuoi un figlio?».


Il labbro le tremò impercettibilmente ma io me ne accorsi. Gli occhi che prima erano lucidi per i conati adesso lo erano per le lacrime che minacciavano di fluire lungo le sue guance.


Le strinsi la mano nella mia.


«Non credo che Dylan voglia un figlio…».


«Ti ho chiesto se tu lo vuoi» dissi con voce ferma e decisa. Non mi interessava cosa voleva mio fratello, in quel momento si parlava della mia migliore amica e qualsiasi scelta lei avesse fatto io le sarei stata accanto. 


Annuì portandosi involontariamente una mano alla pancia.


«Allora scopriamo se avrai questo bambino».


«Ma…».


«Non c’è nessun ma, Lydia».
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