#FanFiction #CinquantaSfumatureDiMrGrey #AnitaSessa

Quando riesco a rialzarmi dal pavimento del mio studio mi sembra passata un’eternità. Sento già la mancanza di Anastasia. Vorrei non avessimo litigato. Ma invece lo abbiamo fatto. Per la sua gelosia, per le sue fissazioni. Anche se non posso dire di essere senza colpa. Lo so che dovrei essere sincero con lei, dirle tutto. Davvero tutto. Ma la paura mi attanagli lo stomaco. Non voglio che se ne vada. Non voglio doverla perdere di nuovo, trovarmi a fare chilometri e chilometri di corsa solo per passare davanti casa sua e guardare inerme le luci accese. Non voglio essere costretto a non vederla. Ed è proprio questo che succederebbe se le riversassi addosso i miei reali problemi, la mia storia, il mio io più crudele e profondo. Anastasia è buona, gentile, non farebbe mai del male a nessuno. Mentre io per anni ho goduto nell’essere crudele con giovani donne come lei. Per pura e semplice vendetta contro la donna che mi ha messo al mondo. E il fatto che fossero consenzienti, che lo volessero, che mi supplicassero per ricevere quel trattamento non vale nulla. Sceglievo sottomesse convinte per sentirmi meno in colpa. Non dovevo giustificarmi con loro per le mie inclinazioni da bastardo pervertito. Ero il loro dominatore. Tornavo a casa tutte le sere come un imprenditore modello, mentre nei weekend davo libero sfogo alle mie perversioni. Il solo ricordare com’ero, come ero solito comportarmi mi fa scorrere un brivido lungo la spina dorsale. Non potrei mai immaginare di essere così crudele con Anastasia. La amo. Neppure all’inizio, quando ci siamo conosciuti, ho mai pensato di comportarmi con lei come mi ero comportato con tutte le altre. Ma lo capirebbe? Sarebbe pronta ad accordarmi questo tipo di fiducia? Forse no. Forse mi vedrebbe per quello che sono in realtà. Un mostro senza cuore. Eppure, per lei, ho trovato la forza di cercare il mio cuore. E finalmente sono riuscito a tirarlo fuori da questo petto martoriato. Faccio un profondo sospiro e apro la porta alle mie spalle. Devo trovarla. Trovarla e fare pace con lei. Dirle quanto è importante per me.

Quando entro nella nostra camera una sensazione di gelo mi avvolge. Lei non c’è. Il mio cuore inizia a battere forte, mentre entro in bagno e poi ne esco per perlustrare la cabina armadio. Il mio respiro si fa affannoso mentre salgo i gradini due per volte e vado nella camera che una volta era sua. Niente, non è neppure qui. Passo in rassegna tutte le stanze, mentre la morsa al cuore si fa più forte, più dolorosa. Deglutisco e apro anche la stanza rossa. Ma non è neppure qui. Scendo di nuovo di sotto, aprendo tutte le porte al mio passaggio. E finalmente, quando penso che il cuore possa scoppiarmi nel petto, la trovo. E’ in biblioteca, addormentata sulla poltrona sulla quale si è rannicchiata. In grembo ha un vecchio libro. Quasi credo che possa scoppiare a piangere da un momento all’altro per la gioia di averla qui. Di averla ancora qui. E’ serena nel sonno, avvolta in una bellissima vestaglia di raso sottile, rosa pallido.Resto a guardarla per un po’, sentendo ad ogni secondo che passa il mio amore per lei crescere e farsi immenso. Stringo forte gli occhi, lasciandomi invadere dal sollievo quando finalmente la cortina di nebbia che avvolge il mio cervello si lascia penetrare dalla consapevolezza che lei è reale, non è fuggita e non è frutto della mia immaginazione. Piano, evitando di farla svegliare, la prendo tra le braccia, stringendomela al petto e la conduco fuori dalla stanza e nella nostra camera. Ma il movimento la fa sussultare e svegliare. Mi guarda nel dormiveglia, assonnata.

«Ehi» le mormoro dolcemente «ti sei addormentata. Non riuscivo a trovarti»

Strofino la punta del naso nei suoi capelli, inspirando a fondo il suo dolce profumo. Lei mi fa un sorriso stiracchiato, avvolgendomi le braccia attorno al collo e adagiandosi sul mio petto.

La porto in camera e la distendo sul letto, coprendola con la trapunta leggera.

«Dormi, piccola» le sussurro, baciandole delicatamente le labbra rosee.

Si addormenta all’istante, aggiustandosi sulle lenzuola candide proprio come la sua pelle. Resto in ginocchio accanto a lei, a guardarla e ad accarezzarle i capelli. Alla fine, stremato, mi alzo per andare in bagno ed infilarmi una maglietta più comoda. E’ tardissimo, ma non ho voglia di dormire. Esco dalla camera, lasciando la mia ragazza dormire, e vado in salone. Quasi senza volerlo mi ritrovo seduto al pianoforte. Ma questa volta abbasso il coperchio, per non disturbarla. L’ultima volta che l’ho svegliata con le mie note malinconiche lei è andata via. Il ricordo è così doloroso. Mi chiedo per quanto tempo riuscirò ad andare avanti prima che la paura di perderla mi consumi.Forse non per molto. Forse alla fine mi toccherà morire pur di vederla felice. Prendo a suonare una melodia triste, che riflette il mio stato d’animo. Dopo il litigio di questa sera, non abbiamo parlato, non abbiamo deciso che è di nuovo tutto a posto. Mi sento frustrato, inappagato. Ho bisogno di appianare le cose, a modo mio. Ho bisogno di ridefinire la situazione secondo i miei confini e i miei limiti. L’attesa di un chiarimento che oramai avverrà tra qualche ora soltanto mi fa sentire solo più solo. Ma poi, come se fosse in connessione diretta con il mio cuore, la vedo apparire sulla soglia. All’inizio credo che si una apparizione, un sogno, una visione celestiale mandatami da Dio per farmi sapere qual’è la cosa più preziosa che potrò mai avere in tutta la mia vita. E’ avvolta nel morbido raso rosa pallido, bella ed eterea. Poi si muove, avvicinandosi. Non distolgo i miei occhi dai suoi mentre si avvicina a me, leggera come una piuma. Le mie dita danzano sui tasti del pianoforte componendo una melodia che conosco a memoria e che ci avvolge completamente. Mi fermo solo quando mi raggiunge, venendomi di lato.

«Perché hai smesso? Era splendida» mi sussurra, guardandomi con gli occhi splendenti alla luce fioca della luna.

«Hai idea di quanto sei desiderabile in questo momento?» mormoro, senza abbandonare il suo corpo con i miei occhi nemmeno per un solo istante.

«Vieni a letto» mi dice, tendendomi la mano.

“Non abbiamo tempo per il letto, Ana. Sei mia e ti voglio ora”. Le prendo la mano che mi tende e la tirò all’improvviso, facendola cadere sulle mie ginocchia. Stringo quel tenero corpo e la sento tremare contro di me.

«Perché litighiamo?» le mormoro, mordicchiando dolcemente il lobo del suo orecchio delicato.

Sento il suo cuore battere forte e il calore del suo corpo aumentare.

«Perché ci stiamo conoscendo, e tu sei testardo, irascibile, lunatico e difficile» mormora a corto di fiato, inclinando la testa di lato e permettendo alle mia labbra di esplorare la pelle morbida del suo collo.

 

La sfioro con il naso, sorridendo contro la sua carne.

«Io sono tutte queste cose, Miss Steele. C’è da chiedersi come tu riesca a sopportarmi» le dico, pizzicandole il lobo con i denti. «È sempre così?» sospiro piano.

«Non ne ho idea» risponde con un filo di voce, abbandonata alle mie carezze.

«Nemmeno io» le dico, tirando la cintura della sua vestaglia, che si apre e mi permette di accarezzarla con uno strato in meno di stoffa a separarci.

La mia mano scende languidamente sul suo corpo, sul seno, percependo i suoi capezzoli immediatamente turgidi e pronti. Proseguo lentamente, carezzandole piano la vita i fianchi.Alla luce candida della luna la stoffa che le ricopre il corpo è così sottile da essere quasi trasparente.

«Sei così bella sotto questo tessuto, e riesco a vedere tutto, anche questo» mormoro, pizzicandole piano il sesso attraverso la stoffa, sentendola rabbrividire, scossa dal piacere. L’altra mano la tiene ferma, stringendole i capelli alla base della nuca e tirandola contro di me.  La guardo per un secondo prima di affondare la lingua nella sua bocca già schiusa e in attesa. Il mio bacio è profondo, possessivo, bisognoso. E lei mi risponde allo stesso identico modo.Geme piano, accarezzandomi il volto con una mano. La mia continua il suo percorso, sollevandole delicatamente la camicia da notte, fino a quando, dopo quella che sembra un’eternità, non riesco a scoprirle il sedere nudo e accarezzarle l’interno delle cosce con il pollice. Il mio cazzo freme e si agita sotto di lei. Mi alzo all’improvviso, sollevandola sul pianoforte e adagiandola sul coperchio. I suoi piedi poggiano sui tasti, producendo suoni a casaccio. Non ci bado, mentre le faccio scorrere le mani sulle gambe e le spalanco le ginocchia. Le afferro le mani, per farla distendere.

«Sdraiati» le ordino, sorreggendola mentre si distende all’indietro.

La lascio andare e la apro ancora di più le gambe, beandomi della vista del suo sesso voglioso già luccicante di umido godimento. I suoi piedi si muovono sui tasti e le note disarmoniche sono un intervallo rumoroso tra i nostri respiri affannati ma silenziosi. Mi chino, baciandole l’interno delle ginocchia, mentre Ana geme di puro piacere. Il raso morbido della sua camicia da notte scivola ancora, arricciandosi sul ventre. Con la coda dell’occhio la vedo serrare l’azzurro del suo sguardo mentre la mia bocca raggiunge il suo punto più dolce. Le deposito un bacio dolce, poi soffio delicatamente. Tiro fuori la lingua, accarezzandole deciso il clitoride in trepidante attesa delle mie attenzioni. La muovo in cerchio, mentre il mio uccello freme, voglioso di infilarsi in quella fessura stretta e umida. Le spalanco di più le gambe, desideroso di affondare in lei e godermi il suo sapore fino in fondo. Le mie mani la tengono ferma appena sopra le ginocchia, mentre la mia lingua affonda ripetutamente sulla sua soffice e morbida carne, raccogliendo il suo sapore Anastasia solleva i fianchi, inarcandosi per chiedere di più tra i gemiti incessanti. Io, dal canto mio, sto per venirmi nei pantaloni. Ma continuo implacabile. E’ la mia punizione per lei, per avermi fatto uscire fuori di testa qualche ora fa. Le sto rendendo pan per focaccia.

«Oh, Christian, per favore» geme, in attesa di un rilascio che non le concederò facilmente.

«Oh, no, piccola, non ancora» la provoco maliziosamente, mentre percepisco la sua eccitazione che cresce.

«No» piagnucola, girando la testa da un lato e dall’altro.

«Questa è la mia vendetta, Ana» ringhio dolcemente contro la sua carne tremula. «Discuti con me e io me la prenderò con il tuo corpo, in qualche modo»

Lascio perdere la mia tortura per dedicarmi al resto del suo corpo. Le bacio la pancia, mentre le mie mani accarezzano il suo corpo, premendo sulla sua pelle e stuzzicandola. La muovo in cerchio contro il mio ombelico, mentre i miei pollici raggiungono l’apice tra le sue gambe.

«Ah!» urla, mentre le spingo un dito dentro e l’altro continua a tormentarle il clitoride, lentamente, ad un ritmo costante, spossante, ma che non le permetterà di venire.

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Cinquanta sfumature di Mr Grey – Capitolo 39 (seconda parte)

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