#FanFiction #CinquantaSfumaturediMrGrey #ThisMan #AnitaSessa

Guardo impaziente il portone principale della Sip. L’interno è deserto, dato che l’orario d’ufficio è passato da più di un’ora. Sono le 18.20. Faccio un profondo sospiro e mi rilasso contro lo schienale, anche se non riesco a scrollarmi di dosso una strana sensazione. Quando Ana uscirà faremo un bel discorsetto su BlackBerry e congegni elettronici vari. Forse è meglio metterla al corrente che Jack monitora le sue mail. Sarà più vigile ed eviteremo spiacevoli conseguenze. Oggi ho anche avvertito Roach del comportamento scorretto di Hyde. E gli ho detto di prepararsi nel caso decidessi di farlo fuori prima delle 4 settimane che mi separano dall’acquisizione ufficiale della Sip. Per un attimo i miei pensieri sono calamitati da altro. Questa mattina, prima di andare in ufficio, sono entrato nella Stanza dei giochi. Tutti quegli aggeggi, tutto il dolore che rappresentano quelle quattro mura. Mi è sembrato di averlo esorcizzato una volta per tutte. Non so se è un’illusione. Non so se è realmente così. Non so neppure se riuscirò ad usare di nuovo tutte quelle cose con Ana. Forse un giorno. Quello che è certo è che non userò le verghe con lei. E quindi, in attesa di capire cosa voglio farne di tutto quello, ho iniziato dalle verghe. Ho incaricato Taylor di portarle via.

Sospiro, giocherellando con il telefono, mentre combatto la tentazione di inviarle una mail. La verità è che non vedo l’ora di vederla, dopo la pessima giornata di ieri. E di amarla. E di perdermi in lei. E di un sacco di altre cose.Sto quasi per scendere e andare a recuperare la mia testardissima fidanzata, quando la vedo uscire finalmente. Noto immediatamente che qualcosa non va. Ana esce di corsa, come se stesse fuggendo da qualcuno. Quando la porta si chiude alle sue spalle, lei si ferma, inspirando più volte. Poi, ad un certo punto, si accascia verso il marciapiede, senza forze. Esco immediatamente dall’auto, sbattendo la portiera dietro di me. Taylor mi segue. In meno di due secondi siamo accanto a lei. Mi inginocchio e la prendo in grembo, sorreggendole la schiena con un braccio.

«Ana, Ana! Cosa c’è?» urlo in preda al panico, tastandole gli arti per controllare che non sia ferita.

Anastasia sembra in trance, non mi risponde, non accenna a muoversi in nessun modo. “Mio Dio, Ana! Rispondi!”. Le afferro la testa con entrambe le mani, scrutandole gli occhi. Il terrore si impadronisce di me. La realizzazione di tutte le mie paure. Il suo corpo si rilassa completamente contro il mio, mentre io non riesco a fare altro che guardarla e implorarla affinché parli. Dolcemente riprovo a scuoterla.

«Ana.Cosa c’è? Stai male?» le chiedo, deglutendo a fatica.

Finalmente accenna una risposta. Muove appena la testa, rispondendo negativamente alla mia domanda.

«Jack» sussurra debole.

Sgrano gli occhi e guardo Taylor, che sparisce immediatamente nell’edificio alla ricerca del figlio di puttana. La rabbia inizia a montarmi dentro e stavolta niente potrà fermarmi. Ucciderò quello stronzo pervertito con le mie stesse mani. La guardo di nuovo. Cosa cazzo le avrà fatto per ridurla in questo stato?

«Cazzo!» impreco ad alta voce, stringendola forte contro il mio petto e baciandole la testa. «Che cosa ti ha fatto quel depravato?» le chiedo furente.

A quel punto Ana scoppia a ridere istericamente, scuotendo piano la testa.

«È per quello che gli ho fatto io» mormora, continuando a ridere senza controllo.

La fisso sbalordito, mentre si perde nuovamente in uno stato di trance isterica.

«Ana!» la scuoto di nuovo e lei si ferma, guardandomi finalmente. «Ti ha toccata?» le chiedo con rabbia.

Il solo pensiero mi disgusta.

«Solo una volta» sussurra, accasciandosi contro la mia spalla.

Il mio corpo reagisce alle sue parole irrigidendosi da capo a piedi. Mi alzo di scatto, portando Anastasia in braccio.

«Dov’è quello stronzo?» sibilo.

Come in risposta alla mia domanda, dall’interno dell’edificio sentiamo provenire urla attutite. Taylor starà dando una bella ripassata a quel figlio di puttana, ma il colpo di grazia voglio avere il piacere di darglielo io. Rimetto gentilmente in piedi Anastasia, assicurandomi che stia bene.

«Riesci a reggerti da sola?» le chiedo preoccupato dal suo equilibrio precario.

Le si stabilizza, rilassando le spalle e inspirando l’aria fresca.

«Non andare. Non farlo, Christian» mi implora poi, rendendosi conto che ho deciso di entrare.

Ma ora sono io quello perso nel mio mondo di furia e rabbia.

«Sali in macchina» le ringhio contro, accecato dalla furia.

«Christian, no.» mi supplica, afferrandomi il braccio.

Mi divincolo dalla sua presa inefficace e me la scrollo di dosso.

«Entra in quella dannata macchina, Ana» sibilo.

«No! Per favore!» mi supplica di nuovo, piagnucolando. «Rimani. Non lasciarmi da sola»

Quelle parole mi riportano per un attimo al presente. Mi passo una mano nei capelli, lanciandole un’occhiata carica di risentimento. Guardo la porta e poi lei, deciso a rimanere e prendermi cura della donna che amo. Dall’edificio arrivano ad un tratto delle urla molto più acute. Poi il silenzio. “Cristo, Taylor!”. Tiro fuori il mio telefono, pronto ad accertarmi che sia tutto a posto.

«Christian, Jack ha le mie mail»

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Cinquanta sfumature di Mr Grey – Capitolo 43 (prima parte)

 

Stringo fortissimo gli occhi, cercando di respirare.

Respira, Ward. Respira. E’ solo andata al lavoro. Solo in ufficio. Fai ripartire il fottuto cuore e calmati. Ci vogliono un paio di minuti prima che succeda però. Due minuti che sembrano 200 anni come minimo.

Quando finalmente riapro gli occhi, cerco di rilassare le spalle, i muscoli irrigiditi che ora fanno male. Mi allungo verso il comodino dove giace il mio cellulare. Ma per quanto mi sforzi, so benissimo che non riuscirò mai a prenderlo. Urlo, mi dimeno, il polso mi fa male e la mano libera, che è quella rotta, non è da meno.

Mi guardo intorno, cercando di pensare ad una soluzione. Mi contorco sul materasso e invece del braccio, mi giro a fatica allungando una gamba verso il comodino. Posso farcela. Devo farcela. L’alternativa è farsi trovare qui, questa sera, quando tornerà a casa.

Se tornerà a casa.

Il solo pensiero mi lacera in due il cuore.

Tendo il braccio legato fino all’impossibile, rischiando di lussarmi una spalla, mentre allungo il piede sul comodino fino a raggiungere il telefono. Mi concentro. Non posso sbagliare. Tendo le dita dei piedi, toccando il telefono e cercando di tirarlo verso il bordo del comodino. Mi tirano tutti i muscoli. Faccio piano. Sto sudando come un maiale. Tiro piano. Il fottuto telefono non scivola sul piano. Devo fare forza. Premo con l’alluce sullo schermo e lentamente faccio scivolare il telefono. Poi alzo il piede lentamente, allontanandolo piano dal comodino e lasciandolo ricadere pesantemente sul letto. Riprendo fiato per qualche istante. Poi mi aggiusto di nuovo, allungando la mano e riuscendo, finalmente, ad afferrare il cellulare.

Lo stringo tra le dita, rabbioso. Cerco il suo numero in rubrica e lascio suonare il telefono. Ma ovviamente non risponde la stronza. Riprovo, ma è occupato. E mi sembra ovvio che non stia chiamando me. “Cazzo”.

Compongo il numero di John.

<<Buongiorno, testa di cazzo>> risponde burbero.

In sottofondo sento dei clacson.

<<Dimmi che sei nei paraggi di casa mia>> dico, mugolando e borbottando.

<<In realtà no. Sarah mi ha spedito a ritirare delle cose che ha ordinato per il ricevimento>>

Un’idea mi balza alla mente. Oramai devo tentare il tutto e per tutto.

<<Sarah è al Maniero?>> chiedo speranzoso.

<<Certo. Che succede?>> chiede incuriosito.

<<Niente. Ava ha fatto la stronza. Ci vediamo dopo>> dico, chiudendo la chiamata e avviandone subito un’altra.

Due squilli, poi la sua voce.

<<Tesoro, buongiorno>> trilla entusiasta.

<<Credimi se ti dico che non lo è>> sibilo, prima di tirare un profondo sospiro. <<Devi venire a casa mia, Sarah. Non posso muovermi>>

<<Che vuol dire che non puoi muoverti?>> chiede, preoccupata.

<<Vuol dire che ho bisogno di uscire di qui e che non riesco a farlo da solo!>> sbotto.

<<Ok, ok. Non scaldarti troppo >> replica lei. <<Posso essere da te tra 20 minuti al massimo>> aggiunge poi.

<<Ok>> sibilo tra i denti, riagganciando.

Getto il telefono sul letto, ringhiando. Il suono riecheggia nella stanza vuota. Chiudo gli occhi. Devo assolutamente calmarmi.

Le ho rivelato la mia età e, per quanto posso ancora mentire e dirle che non è quella vera, ed ho tutta l’intenzione di farlo, questo non cambia le cose. Le ho detto di avere 37 anni. Le ho nascosto il fatto che tra pochi giorni ne farò 38. Non mi è sembrata troppo sconvolta, ma è ance vero che non mi ha liberato. E’ andata via. E Dio solo sa quanto potrà rimuginare su quello che è accaduto e su quello che le ho rivelato. Dio solo sa quanto tempo prezioso sta andando a puttane mentre me ne sto qui, ammanettato al mio stesso letto invece di essere da lei a parlarle.

Faccio un profondo sospiro, scoppiando in una risata isterica. Ha usato le mie stesse tattiche contro di me. Oddio, è così che si sente quando la scopo per ottenere quello che voglio? Cazzo.

Il suono del telefono interrompe il flusso dei miei pensieri. E’ Sarah. Ha fatto molto prima di quanto mi aspettassi.

<<Sarah>> mormoro, pensando a quante cose potrà partorire la sua bocca quando mi vedrà in questo stato.

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Il Lord del Maniero – Capitolo 48 (prima parte)

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