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CAPITOLO 10

ALEX

Prendo il caffè dalla macchinetta e mi appoggio contro il muro, di fronte all’aula insegnanti. Giro la paletta nel bicchierino per darmi un tono, ma in realtà sono in ansia. Chissà come andrà. Se la Vergani avesse interrogato Maya in classe, avrei escogitato qualcosa per aiutarla in caso di difficoltà  e invece così devo solo sperare che non si lasci prendere dal panico. Non voglio neppure immaginare la sua reazione se dovesse fallire. So quanto ci tiene alla ginnastica artistica. Se i suoi dovessero opporsi agli allenamenti, lei ne soffrirebbe tantissimo e io non voglio che soffra.

«Chi l’avrebbe mai detto? Alex e Maya che se la intendono. Proprio una gran bella sorpresa!»

Sento il nervoso che mi sale fin sopra le orecchie e inizio a imprimere più forza e velocità alla paletta, al punto che una goccia di caffè bollente esce dal bicchiere e mi ustiona il braccio.

Porca puttana, che dolore!

«Si vede che siete cotti a puntino. Anche se mi chiedo Maya che ci trovi di interessante in uno smidollato come te.»

Devo resistere alla tentazione di spaccargli la faccia. Non è il momento né il posto giusto.

«Uno che ha paura della sua ombra…»

Io taccio, ma quando Francesco apre la bocca, pronto a dire un’altra cattiveria, lo anticipo.

«Che cazzo vuoi ancora da me.»

«Lo sai, Zanlorenzi. Il mio cliente ti vuole. Dice che sei al di sopra di ogni sospetto.»

«No, non ho nessuna intenzione di aiutarti. Te l’avevo detto che non ti avrei mai più fatto favori. E ora lasciami in pace.»

Francesco mi pianta addosso i suoi occhi grigi, freddi come una lama d’acciaio, e so che sta pensando a come vendicarsi.

«Mi toccherà andare dal preside, allora.»

Arrivato a questo punto, le sue minacce non mi fanno più paura.

«Se è quello che vuoi, fai pure. Racconta tutto quello che sai su di me. Poi sarò io a parlare. Dirò che sei uno spacciatore, la polizia perquisirà casa tua e troverà una montagna di droga. Così marcirai in carcere e mi libererò una volta per tutte del tuo brutto muso» lo sfido, provocandolo a denti stretti.

«Che cazzo dici! Se lo fai, cadrai con me. Sapranno che anche tu hai spacciato e finirai in prigione.»

«Meglio dietro le sbarre che minacciato da un cretino come te.»

Che soddisfazione! Ho lanciato il guanto di sfida e ora sta a lui decidere che fare: smetterla di provocarmi una volta per tutte oppure iniziare una guerra aperta, che potrebbe portargli più danni che vantaggi.

«Ok, hai vinto tu. Me ne starò buono buono e non ti chiederò più un cazzo» alla fine esclama e se ne va in classe con la coda tra le gambe.

Sono così felice… Finalmente mi sono liberato di quell’incubo ambulante, almeno per ora. Non so perché, ma ho come l’impressione che cercherà un altro modo per vendicarsi. Ho vinto la battaglia, ma devo stare all’erta se voglio vincere anche la guerra.

Trangugio il caffè in un sorso solo, butto via paletta e bicchierino e ritorno a pensare a Maya e alla sua interrogazione. Ancora non è uscita da quella maledetta porta: la Vergani la sta torchiando di brutto.

Il suono della campanella mi avvisa che è tempo di tornare in classe. Vorrei essere il primo a parlarle, pronto a gioire con lei o a consolarla a seconda dei casi, ma non posso permettermi di fare tardi. Così mi volto e comincio a camminare a passi lenti verso l’aula.

Dopo aver percorso pochi metri, sento una porta che sbatte, uno scalpiccio di passi e delle urla che sferzano l’aria, arrivando fino a me.

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