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CAPITOLO 16

ALEX

Avrei potuto avere più coraggio e invece eccomi qui. Sono passati pochi giorni da quando ho baciato Maya e il mio cuore è rimasto contro quel muro, mentre il mio corpo è racchiuso tra le quattro pareti di quest’aula, improvvisamente troppo piccola e angusta per contenere quello che provo.

So di aver sbagliato. Con il senno di poi mi sono ripetuto mille volte che avrei potuto convincerla a stare insieme a me, ma all’improvviso i suoi dubbi mi hanno contagiato e mi hanno bloccato. Sì, perché avere una relazione seria significa aprirsi, essere sinceri. E io non sono ancora pronto a raccontarle tutto. Quel che sa, cioè che lavoro al mercato e che scrivo rap, al momento è sufficiente. Spiegarle il motivo per cui mi spacco la schiena tutte le mattine vorrebbe dire espormi troppo. E io non me la sento ancora.

«In che anno è ambientato il Decameron?» domanda la Vergani, riportandomi alla realtà.

Alzo la mano e lei mi dà subito la parola.

«Dillo tu, Zanlorenzi, che i tuoi compagni, a quanto pare, stanno facendo un pisolino.»

«La storia è ambientata nel 1348, durante la Peste Nera. Si apre proprio con la descrizione di questo dramma.»

«Bravo, Alex. Tu sì che mi dai soddisfazione» sorride l’arpia, anche se più che un sorriso sembra un ghigno. Questo nomignolo poco gentile gliel’ha affibbiato Maya e, da quando gliel’ho sentito dire, l’ho adottato anch’io. Almeno nella mia mente. Non posso permettermi di essere sospeso.

«Domani interrogherò tre o quattro di voi, ma non vi dico chi. Dovete essere tutti pronti, avete capito?» domanda la Vergani con la voce acuta, sbattendo la mano contro la cattedra.

Nessuno osa fiatare per paura di incorrere nella sua ira funesta, di certo meno omicida di quella del Pelide Achille, ma altrettanto pericolosa.

Poi ci fa segno che possiamo preparare lo zaino. Il suono della campanella ci libera dalla sua vista. Lei dice che deve rimanere a correggere i compiti e noi ci allontaniamo in massa verso l’uscita, desiderosi solo di andare all’aria aperta.

Mentre cammino, mi ritrovo di fianco Maya e non riesco a resistere alla tentazione. Senza fissarla per non destare sospetti, le stringo la mano, solo per un attimo, per capire se il suo tocco ha ancora lo stesso effetto di qualche giorno fa. E devo ammettere che è proprio così. Mi basta sentire la sua mano candida dentro la mia per provare la stessa identica emozione di quando ci siamo baciati. Il problema è che il ricordo delle sue labbra morbide e succose mi va a innescare una reazione improvvisa dentro le mutande, per cui mollo la presa e la fisso per un attimo; così mi accorgo che anche Maya mi sta guardando. Non è facile capire che diamine le passi per la testa, perciò decido di parlarle, ma Melania la raggiunge e se la porta via, mostrandole il suo telefono.

Scuoto la testa rassegnato e scappo a prendere il tram per raggiungere la mia sede di lavoro. Oggi il mio capo è al mercato in zona Bovisa e mi devo muovere, se voglio arrivare in tempo per sbaraccare tutto.

Per fortuna trovo il tram che sembra aspettarmi e in venti minuti mi porta in Piazza Bausan. Corro tra persone dalle mille nazionalità e raggiungo la bancarella, quando ormai è abbastanza tardi e buona parte della merce è stata già ritirata dai banconi e caricata sul furgoncino.

«Ciao Alex. Mi aiuti a piegare i tavoli e a smontare il gazebo?» mi domanda Ruben, venendomi incontro.

«Sì, eccomi.»

Appoggio lo zaino nel furgoncino, saluto Antonio, il mio capo, e comincio il mio lavoro. Tutti i giorni è sempre la solita solfa, ma finché non avrò un diploma, temo sarà impossibile avere un lavoro più qualificato.

Mentre Antonio si mette a parlare con un suo collega del prezzo spropositato delle ciliegie all’ingrosso, Ruben se ne approfitta per avvicinarsi a me e mostrarmi un WhatsApp sul suo smartphone.

«Hai visto? Sono o non sono mitico?»

Lo leggo avidamente e penso proprio che, anche se la situazione non è così chiara come vorrei, un’occasione del genere non me la posso proprio lasciar scappare.

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