#BrokenComeFenici #VLove #Wattpad

Capitolo 16 




Amiamoci


ancora una volta






Se incontrandosi viene voglia di incontrarsi di nuovo,


se dopo aver fatto l’amore viene voglia di farlo di nuovo


e poi ancora, due, tre, quattro volte, io lo considero amore.


~ Banana Yoshimoto






Teresa


Ho fatto sesso con Travor, quello fu il primo pensiero che partorì la mia mente appena aprii gli occhi. Avevo parti del corpo di cui non sapevo nemmeno l’esistenza indolenzite e doloranti, ma malgrado tutto non mi pentivo di nulla. Fare sesso con Travor era stato bello, e non quel genere di bello che si utilizza per descrivere qualcosa di mediocre, ma quel genere di bello con cui può essere descritto solo qualcosa di così vero, che non può essere eccezionale, perché è sfaccettato di imbarazzi ed emozioni che lo rendono più reale, più vivo.


Facendo attenzione mi girai stendendomi su un fianco, Trav mi dava la schiena ma non fu quella la prima cosa che catturò la mia attenzione, bensì qualcosa che si trovava un po’ più in basso. Il suo sedere era rimasto scoperto dalle lenzuola che erano scese durante la notte, la sua pelle era così pallida da ricordare il marmo, e devo ammettere anche la consistenza…


Quando sollevai lo sguardo, invece, mi ritrovai a osservare ammirata il tatuaggio che gli ricopriva l’intera schiena. Era enorme, partiva dalle spalle ed arrivava sopra al sedere. Senza rendermene conto iniziai a tracciare con la punta della dita i contorni di quell’opera d’arte. Partii da un’ala sulla scapola, sentendo la pelle macchiata d’inchiostro in rilievo sotto i miei polpastrelli, accarezzai le sfumature. Portando la mano al centro della sua schiena arrivai al corpo di quella che pensai essere una grossa aquila, e proprio quando stavo per scendere con le dita, seguendo la spiana dorsale, per arrivare a quelle che sembravano lingue di fuoco e che immaginai essere la coda, la mano di Travor intercettò la mia bloccandomi per un polso, il secondo dopo quello che vedi furono i suoi occhi.


«Buongiorno», il suo tono di voce era arrochito dal sonno, ed era dannatamente sexy.


«Ciao» mormorai contro le sue labbra. 


Girandosi aveva azzerato la distanza che c’era tra di noi, il suo respiro mi solleticava le labbra, mentre la mia mano era rimasta imprigionata sotto al suo fianco.


«Non volevo svegliarti».


Non mi rispose, si limitava a fissarmi.


«È un’aquila, il tatuaggio sulla schiena?», sembrò riscuotersi dai suoi pensieri.


«È una fenice».


«Una fenice? Come quella di Harry Potter?».


La sua bocca si piegò in un sorriso.


«Ha un significato?».


Quando liberò la mia mano da sotto al suo corpo abbassai lo sguardo. Solo in quel momento mi resi conto che, mentre io continuavo ad essere ben coperta dalle lenzuola, lui continuava ad essere completamente nudo. Osservai il suo addome piatto, mi morsi un labbro seguendo la linea di peli biondi tra le fossette addominali che portavano al suo…


«Un tatuaggio non deve per forza avere un significato», si tirò su il lenzuolo interropendo il filo dei miei pensieri.


Tornai a guardarlo, conscia di avere uno stupido sorrisetto ad incurvarmi le labbra.


«No, ma sono sicura che il tuo lo abbia, come ogni singolo segno che ti ricopre la pelle», con la punta delle dita tracciai la rosa intrappolata da del filo spinato che si trovava all’altezza del suo cuore.


Come la prima volta la sua mano andò a bloccare il percorso della mia. Mi accigliai e sollevai lo sguardo.


«La fenice brucia fino a tramutarsi in cenere, poi dalla sua stessa distruzione risorge».


Osservai il verde dei suoi occhi incupirsi. «E tu sei risorto dalle tue ceneri?», sapevo delle sue dipendenze, della sua disintossicazione, e potevo vedere come si era rialzato con le sue gambe.


«No. Io continuo a bruciare, nella speranza che il fuoco rada al suolo tutti i mie errori senza però distruggermi».


Sottrassi il polso dalla sua stretta e gli accarezzai il volto. Chiuse gli occhi per un’istante.


«Vuoi dirmi cosa è successo stanotte?», non avevo dimenticato. Non mi ero dimenticata di averlo trovato sconvolto, distrutto, mentre prendeva a pugni il sacco da box fino a sanguinare. Come avrei potuto farlo?


«No» replicò semplicemente, riaprendo i suoi meravigliosi occhi. 


Una ruga d’espressione gli apparve sulla fronte e mi affrettai a spianarla con le dita. Respirò a fondo e io mi ritrovai ad imitarlo. L’odore di sesso, il mio profumo che si mescolava al suo, provocarono un tumulto all’interno del mio stomaco. Tutti i miei sensi si risvegliarono, i ricordi della notte appena passata mi investirono come un treno in corsa. Una scossa attaccò direttamente il mio basso ventre.


Il mio corpo agì per conto suo, mi ritrovai a cavalcioni su Travor, ancor prima di rendermi conto delle mie azioni. Anche lui reagì d’impulso, le sue mani strinsero i miei fianchi e mi accompagnò verso il suo sesso.


Un gemito sfuggì dalla bocca di entrambi. «Cosa stai facendo?».


«Secondo te?», mi chinai su di lui, scostai i capelli di lato e mi avvicinai alla sua bocca.


«Aspetta!», mi fermò, a pochi centimetri dalle sue labbra, bloccando il movimento del mio bacino con una presa salda.


«Che c’è?».


Il suo sguardo da eccitato si fece furioso, con un dito tracciò la mia giugulare. «Ti ho lasciato dei segni, io…».


Portai la mia mano a racchiudere la sua. «Non fa niente», sorrisi e mi leccai le labbra ricordando i suoi morsi. Se mi aveva marchiato la pelle ne era comunque valsa la pena.


Senza dare segni di avermi ascoltata prese il mio braccio e iniziò a esaminarmi il polso. Guardai a mia volta, e solo allora mi resi conto della sottile linea violacea che lo circondava.


«Ti ho fatto male» mormorò, l’istante dopo mi ritrovai distesa dall’altra parte del letto mentre lui mi aveva dato la schiena mettendosi seduto.


Si piegò sulle ginocchia e si portò le mani tra i capelli. Gattonai verso di lei e gli circondai il collo con le braccia. 


«Non mi hai fatto niente».


«Mi dispiace così tanto. Non volevo farti male», continuò a ripetere come un mantra.


Scesi dal letto e mi inginocchiai di fronte a lui. «Trav guardami, non mi hai fatto male, mi piaceva» ammisi. 


Scosse violentemente la testa. «È stato un errore», si sottrasse dal mio sguardo e si alzò allontanandosi.


«Non avrei mai dovuto toccarti. Io… mi dispiace».


Non mi diede il tempo di reagire che sparì al piano di sotto, solo quando sentii la porta del bagno sbattere mi destai dal mio trance e mi alzai. Cos’era appena successo? 
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