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Capitolo 7




Una catastrofica idea del cazzo (?)






“Un’idea che non sia pericolosa 


non merita affatto di essere chiamata idea.”


~ Oscar Wilde






Travor


Che diavolo mi è venuto in mente?, mi chiesi passandomi distrattamente una mano tra i capelli.


Avevo invitato una perfetta sconosciuta a passare la notte a casa mia. Non sapevo un accidenti di lei e per giunta ero sicuro che fosse fatta di una qualche sostanza. Per un ex-tossicodipendente non era una mossa intelligente. Dovevo ammettere, però, che se non ero inciampato in una delle mie dipendenze, tornando a casa completamente ubriaco, era solo grazie a lei. 


Misi su il caffè – un’altra delle mie assuefazioni – e in una padella iniziai a preparare due uova e del bacon. 


Quella ragazzina – perché si, era proprio quello una volta che l’avevo vista bene, con il volto pulito e con dei vestiti che la coprissero un po’ di più – con il suo sguardo triste e tormentato era riuscita a far passare in secondo piano i miei di tormenti. Non avevo più pensato a Claire, al fatto che si stesse per sposare ed a quello che le avevo fatto. In quel momento riuscivo solo a vedere quegli occhi vuoti e carichi di dolore, quello sguardo spezzato e perso.


Averla portata a casa mia, vederla girare per il mio appartamento, saperla fare la doccia nel mio bagno e vederla indossare i miei vestiti mi aveva destabilizzato e non poco. Dopo Claire non avevo portato nessun’altra donna a casa mia, in effetti oltre a Jex non mi ricordo l’ultima volta che qualcuno ci avesse messo piede… Quando mi aveva chiesto perché lo avessi fatto, perché la stavo aiutando, non avevo potuto fare altro che alzare le spalle. Non ne avevo idea nemmeno io, del perché… 


Anche se forse, in parte, era proprio per quel suo sguardo perso. Forse una parte di me pensava che aiutando lei avrebbe potuto rimediare agli errori passati. 


Scrollai le spalle cacciando via quei pensieri. Nulla avrebbe potuto cancellare quello che avevo fatto a Claire, nemmeno una buona azione verso una ragazzina con un qualche problema con la droga.


Misi due piatti sull’isola della cucina, e li riempii giusto in tempo per il risveglio di Teresa.


«Buongiorno» mormorò incerta.


Lanciò un’occhiata ai due piatti che avevo davanti, poi guardò me, e di nuovo i piatti. Sembrava confusa dal mio gesto e forse ne aveva tutto il diritto dopo il mio comportamento lunatico di solo qualche ora prima. 


Quella notte, quando mi ero svegliato da un sonno agitato, l’aveva sentita raggiungere la cucina ed avevo deciso di seguirla. Non era stata mia intenzione spaventarla, volevo solo accertarmi che stesse bene. Quando aveva spaccato il bicchiere e si era tagliata per causa mia mi ero sentito in colpa senza sapere bene il perché, così mi ero adoperato subito per aiutarla, e non mi sarei mai aspettato che reagisse a quel modo alla vista di un pochino di sangue. Le era preso un attacco di panico e non ero certo del motivo, così avevo preso i suoi polsi e glieli avevo messi sotto l’acqua, come più volte mi era capitato di fare quando quegli stessi attacchi di panico colpivano me. Il mio tocco l’aveva tranquillizzata ed io mi ero sentito all’istante strano. Stavo toccando una donna e lei non aveva paura di me, anzi… Per un attimo mi era sembrato tutto così giusto: poter sentire il suo profumo, il calore del suo corpo contro al mio. Poi avevo ricordato quello che il mio stesso tocco era riuscito a causare ad un’altra donna ed allora mi ero ritratto di colpo. Lei non doveva sentirsi al sicuro tra le mie braccia, non la sarebbe stata…


«Ti piacciono le uova?» chiesi senza ricambiare il saluto.


Continuava a scrutarmi, forse perché io continuavo ad aver un atteggiamento ambiguo.


Annuì.


Nessuno dei due diceva mai troppo o parlava quando non era necessario. Per molti quella situazione poteva essere imbarazzante ma non per me che amavo il silenzio.


Prese posizione ergendosi su un sgabello in legno ed io le misi davanti il piatto e le posate. Recuperai del latte dal frigo – controllando prima che non fosse scaduto – e versai il caffè nelle tazze.


Con la forchetta iniziò a sbocconcellare il cibo che le avevo offerto e per un po’ rimanemmo in completo silenzio.


Mi persi per un lungo istante a guardarla: i capelli cioccolato raccolti in una treccia in parte sfatta, il nasino a punta e coperto da piccole lentiggini, una bocca carnosa, con il labbro inferiore più polposo del superiore, e con un perfetto arco di cupido, le lunghe ciglia e i grandi occhi da gatta con le iridi di quello strano ma incantevole violetto.


Quando sollevò lo sguardo per incontrare il mio lo distolsi velocemente. Che diavolo mi prende?!, pensai tra me e me, dovevo smetterla di esaminarla. 


«Grazie per avermi ospitata», fu lei la prima a spezzare il silenzio.


Tornai a guardala e lei stava facendo lo stesso. «Non c’è problema».


Ci scambiammo un’occhiata dove entrambi ci studiammo. 


«Non che non te ne sia grata… ma perché mi hai portata qui? Non credo che tu sia l’unico ad essermi passato accanto ieri sera, ma sei l’unico ad essersi fermato ed avermi chiesto se stessi bene».


«Mi sembrava giusto farlo, controllare se stessi bene».


«Non tutti lo farebbero, la maggior parte della gente non si accorge di quello che li circonda ed anche se lo fa, fa finta di niente».


Purtroppo aveva ragione, il genere umano è in degrado, e la maggior parte della gente trovandosi davanti una situazione analoga non muoverebbe un dito, farebbe semplicemente finta di niente, come se la ragazza in un vicolo che non smette di piangere non esistesse. Io però ho sempre avuto l’indole di osservare i dettagli, di guardarmi intorno e di catturare sia nella mia memoria che in quella digitale, con la fotografia, tutto ciò che mi circonda.


«Sicuramente, poi, non mi avrebbero ospitata a casa loro» continuò.


«Non eri in te, non mi sarei fidato a lasciarti in un qualche albergo», abbassai lo sguardo e presi a mangiare il mio bacon.


«Ma non mi conosci, cosa te ne sarebbe importato di quello che poteva capitarmi?».


«Nemmeno tu mi conosci!», sbottai lanciando la forchetta che tenevo in mano nel piatto, «Quindi non dipingermi come un fottuto salvatore o stronzate simili perché sei ben lontana dalla realtà!».


Se avesse saputo quello che ero stato in grado di fare alla donna che amavo… non mi avrebbe più visto come il principe andato in soccorso della principessa in pericolo, ma come la bestia.


Riuscii a vedere lo stupore nel suo sguardo prima di buttare il resto della mia colazione nella bidone della spazzatura. Mi stavo comportando da stronzo, lo so, ma non volevo illuderla che fossi meglio di quello che sapevo di essere. 


Senza degnarla di uno sguardo mi diressi verso il bagno per farmi una bella doccia ghiacciata.
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