#FanFiction #CinquantaSfumaturediMrGrey #ThisMan #AnitaSessa

Siamo a letto, nudi, avvinghiati. Le accarezzo i capelli e la sento sospirare a fondo contro la mia pelle. E’ passata un’altra settimana. All’improvviso mi viene in mente una cosa e sorrido tra me e me.
«Ti sei fatta prendere dal panico. Ma avevi acconsentito sin da quella sera nella rimessa. Un mese, ricordi?»
Ana si ferma di tracciare cerchi delicati sulla sua pelle con l’indice e solleva la testa per guardarmi.
«Cosa?…Io non avevo davvero creduto alla faccenda del mese..E poi…poi ero ottenebrata dal sesso e dalla felicità. Mi avevi anche proposto Las Vegas, se è per questo» dice, lasciandosi ricadere accanto a me.
«Avevi accettato, Anastasia» le ricordo con soddisfazione.
«Ti avrei sposato anche subito in quel momento. E’ solo che…non ho davvero prestato fede alle tue parole fino a che non me lo hai riproposto il mattino successivo. E poi mi sono lasciata contagiare dalla follia tipica di una futura sposa. O almeno è così che la definisce Kate» borbotta, rannicchiandosi contro il mio petto.
Ridacchio, scuotendo il capo.
«Mi prendi in giro, Mr Grey?»  chiede stizzita.
La mia risata aumenta di intensità.
«Ti ho scopato fino a farti perdere la memoria, Miss Steele» dico, in preda alle risate, mentre lei mi colpisce sul braccio, lasciandosi contagiare dalle risate.
Per un po’ restiamo così, felici, abbracciati e rilassati in una delle camere per gli ospiti della casa dei miei. Ma poi Ana se ne esce con quella domanda. Quello che temevo da ieri sera.
«Com’è andata con tuo padre?»
Stringo le labbra al ricordo della conversazione avuta con Carrick la sera precedente. La scorsa settimana mi era sembrato troppo rilassato. Ma non ci avevo dato peso, preso dal momento, dalla felicità per il matrimonio e per il fatto di essermi tolto un peso di dosso raccontando alla mamma quello che era successo. Ma avrei dovuto intuire che Grace non gli aveva ancora raccontato tutto. Semplicemente perché non conosceva i dettagli. Ma poi l’aveva fatto. E a mio padre era salito il sangue alla testa, aveva fatto due più due riguardo a molte cose ed era arrivato persino a scoprire che i 100mila dollari che avevo investito per dare avvio alla società erano di Elena.
«Christian…come diavolo è potuta accadere una cosa del genere con quella donna?» mi aveva urlato contro non appena avevo richiuso la porta dello studio.
Ero rimasto di sasso. Mio padre non urlava mai. Men che meno con me.
«Papà, io…» avevo tentato di blandirlo, passandomi una mano esasperato nei capelli.
«No, Christian. Ora mi ascolti. Non sai quanto dolore ha provocato a tua madre tutta questa storia. E a me. Elliot e Mia ne sono all’oscuro e continueranno ad esserlo. Ma io e tua madre non riusciamo a darci pace. Da quando avevi 15 anni! A 15 anni era nostro dovere proteggerti!» aveva esclamato furibondo.
Avevo sospirato, voltandomi verso la finestra. Sarebbe mai finita quella storia?
«Credevamo di aver fatto un buon lavoro con te…»
Ed eccola. Ecco quella sensazione. Di nuovo. Di non essere abbastanza, di non essere perfetto come tutti gli altri. DI non appartenere a quella famiglia.
«Ma è ovvio che non è stato per merito nostro che tu sei cambiato. Per anni mi sono considerato un buon padre, perché avevi smesso con quella vita da scapestrato e nonostante avessi deciso di non puntare sull’università, eri riuscito comunque a diventare un uomo di successo, dannatamente bravo nel tuo lavoro. E sei diventato l’uomo caparbio e capace che sei ora. Per anni mi sono dato il merito di questo….ma evidentemente dobbiamo tutti ringraziare Elena Lincoln..»
Le sue parole mi avevano colpito. Erano intrise di dolore e di sconfitta. Si sentiva esattamente come me. Non si sente all’altezza. ”Oh, papà”.
«Papà, io…mi dispiace. Non è certo merito di Elena Lincoln se io sono così. Ma tuo. E di Grace. Voi mi avete salvato. E’ vostro il merito. Con Elena…è stato uno sbaglio. Solo uno sbaglio. Lei…» mi ero bloccato per l’imbarazzo. Non avevo mai avuto conversazioni del genere con mio padre.
«Nono sono stupido, Christian. So cosa era in grado di darti lei» aveva detto con una punta di disprezzo. «Ma questo non cambia le cose. Saresti dovuto venire da noi. Avresti dovuto parlarci di quello che ti costringeva a fare quella donna. Non avresti dovuto accettare i suoi soldi»
Si era lasciato cadere sulla sua poltrona e, per la prima volta nella mia vita, gli avevo letto in viso i segni della sconfitta. Si sentiva un fallito. Ed era tutta colpa mia. Mi ero seduto sulla poltrona di fronte, con i gomiti poggiati sulle cosce.
«Non mi sentivo costretto. Sapevo benissimo che era sbagliato. Lo sapevo. Ma lei…è riuscita a darmi quello di cui avevo bisogno in quel momento. Ora è finita. Ti prego, papà. Voglio solo dimenticare e farvi dimenticare tutta questa storia» avevo detto in tono esausto.
«Non è possibile dimenticare che non sei stato in grado di proteggere tuo figlio, Christian. Quando avrai dei figli capirai» aveva detto, scuotendo la testa. «Quando avrai dei figli capirai che non devi lasciarti scappare nessuna occasione per proteggerli»
Avevo chinato il capo. Dentro di me sapevo che quello che era successo con Elena in qualche modo mi aveva aiutato. Avrei solo voluto che tutti non vedessero solo il lato negativo della faccenda. Anche se lo capivo.
«E a proposito di proteggerti, Christian, non credi che sia il caso di cominciare a pensare ad un accordo prematrimoniale? Ne ho diversi modelli e potremmo..»
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Cinquanta sfumature di Mr Grey – Capitolo 53
Ava resta fredda nei miei confronti per tutta la durata della cena. Tollero a malapena il suo comportamento e di certo mi aspetto delle scuse fatte come si deve quando saremo soli. Con gli altri e cordiale, ride e scherza, ma con me fa la sostenuta. Come se non fossi il centro del suo mondo. E, invece, cazzo se lo sono.
Dopo il dolce John si alza e dice a tutti di liberare la sala per far portare via i tavoli e lasciare spazio alla band. Mi alzo e la aiuto a fare lo stesso. Ma Ava continua ad ignorarmi. Fa per allontanarsi dal tavolo, ma le afferro il gomito, facendola voltare per guardarla in faccia. Stringo leggermente gli occhi, scrutandola.
«Hai intenzione di comportarti come una ragazzina viziata per tutto il resto della serata o devo portarti di sopra e scoparti finché non torni in te?» le chiedo diretto.
Ava fa un passo indietro, scioccata. Saluto la donna che mi sorride, dietro di lei, ma poi riporto gli occhi su di Ava e la mia espressione cordiale scompare. Con possessività le afferro il sedere con una mano, spingendola contro di me. Muovo i fianchi lentamente, in circolo, e il mio cazzo eccitato preme contro quella marea di pizzo e Ava.
La sento irrigidirsi, le sue mano mi afferrano le spalle. Porto la bocca al suo orecchio.
«Lo senti?» sussurro, stringendola più forte.
La mia ricompensa è il suo gemito che gronda di piacere. Ma non mi basta.
«Rispondi alla domanda, Ava» insisto, prendendole in bocca il lobo e mordicchiandolo.
Le sue dita premono sulle mie spalle con maggiore forza.
«Lo sento» dice con voce roca.
Sorrido soddisfatto.
«Bene. È tuo. Tutto tuo» ringhio, spingendoglielo forte contro. «Quindi smettila con questa lagna. Hai capito?» domando arrogante.
«Sì» sussurra piano contro la mia spalla.
Allento la presa su di lei e faccio un passo indietro, guardandola. Lei annuisce, ansimando leggermente. Qualcosa attira la sua attenzione per un attimo, ma improvvisamente, prima che possa capire perché, Ava si butta nuovamente tra le mie braccia. I suoi occhi sono grandi, dispiaciuti.
Sorrido, soddisfatto, facendole un cenno col capo e poggiando le labbra sulle sue.
«Così va meglio» le dico, baciandola piano e poi guidandola verso l’uscita della sala.
Non mi sfuggono gli sguardi ammirati che qualsiasi uomo incrociamo lancia alla mia ragazza.
«È difficile non accorgersi degli sguardi di ammirazione che stai attirando» sibilo, premendo possessivamente la mia mano sulla sua schiena.
Ava ride piano.
«Tu stai attirando l’attenzione» dice.
In quel momento stiamo per oltrepassare Natasha, che fa un passo avanti e mi accarezza il braccio, sorridendo.
«Jesse, sei meraviglioso come sempre» dice, sbattendo le palpebre e lasciando svolazzare le sue ciglia lunghe.
La risata di Ava cambia. E’ sonora e incredula. Stringo i denti quando la sento fermarsi. La trattengo, guardando Natasha con un sorriso crudele.
«Natasha, tu sei la solita civetta» le dico sarcastico, mettendo un braccio attorno alla spalla di Ava per farla proseguire dopo averle dato un bacio casto.
Lei resta rigida fino a quando arriviamo al bar. Mi dirigo verso il nostro solito posto al bancone. Il suo sgabello è occupato, ma si libera non appena l’uomo che lo occupa si rende conto che mi ci sto avvicinando. Anche Mario ci raggiunge subito.
«Cosa vuoi da bere?» le chiedo, sedendomi sullo sgabello accanto al suo. «SuperMario?»
Ava si volta verso Mario.
«Sì, grazie Mario» dice sorridendo.
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Il Lord del Maniero – Capitolo 59

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